Funzione esaurita
Basta soldi alla Rai

O felix culpa! Così avrebbe esclamato Sant’Agostino leggendo la bestemmia, che è scivolata sugli schermi Rai a fine anno. Felice, perché ha posto pubblicamente la domanda: la Tv pubblica ha esaurito la propria funzione? La mia risposta è sì!

E perciò non ha più senso alcuno il massiccio finanziamento pubblico – via canone e non solo – della Rai. Da quando l’azienda è nata con il Regio decreto n. 1067 del 1923, da quando è diventata Eiar il 17 novembre del 1927, poi Rai il 26 ottobre 1944, poi Rai Radiotelevisione italiana il 10 aprile 1954, fino all’attuale assetto societario definito nel 2004, la Rai ha fornito la colonna sonora alla storia culturale e politica del Paese. Totalmente controllata dal sistema dei partiti - a tal punto che dai primi anni ’80 Raiuno era Dc, Raidue era Psi, Raitre era Pci - ha svolto nella società italiana il ruolo pedagogico che i partiti fondatori della Repubblica si erano attribuiti fin dall’epoca del Cln: unificazione linguistica, omogeneizzazione culturale, informazione politica ipercontrollata, grandi inchieste sull’Italia che stava cambiando, pubblicità consumistica moderata di Carosello...

Anche la Rai, come tutte le grandi aziende pubbliche, si è gonfiata a dismisura, ingoiando soldi, generando posti di lavoro socialmente inutili, ma privatamente utilissimi. Capodanno Rai a Matera: trecentomila euro solo di camere d’albergo! Eppure, non sono i bilanci in perdita la causa principale della sua caduta di ruolo. Sono, per un verso, la crisi culturale e ideale dei partiti della Prima Repubblica; per l’altro, l’irruzione delle Tv private e, a partire da questi ultimi dieci anni, dei social media. Così, sul versante dell’informazione, la Bbc, la Cnn, Sky, Al Jazeera e i social network offrono notizie sul mondo decisamente più complete; sul versante dell’intrattenimento, l’offerta delle Tv private è più varia, frizzante, nazional-popolare, fino alla volgarità. La certezza del finanziamento pubblico ha fatto da freno all’innovazione; sostenuta dallo Stato, la Rai ha potuto stare per una fase alla larga dal mercato, continuando con i riti obsoleti di un’informazione ingessata dalla/della politica. Poi si è messa a rincorrere la concorrenza, soprattutto sul piano dell’infotainment.

I talk-show hanno usato le indignazioni e le rabbie e le hanno fomentate, Santoro docet, trasformando il servizio dovuto alla verità dei fatti in eccitazione e in spettacolo. I fatti e le correlative opinioni non vengono sviscerati criticamente; sono solo un pretesto per costruire il teatro dell’indignazione. Nietzsche scrisse che non esistono fatti, ma solo interpretazioni. La Rai e, occorre aggiungere, il sistema delle Tv private sono nichilisti nietzschiani senza saperlo. La crisi delle culture politiche dei partiti ha lasciato la Rai senza bussola culturale.

Questa è una delle cause dell’insorgenza di un populismo diffuso, che consiste nelle rabbie corporative, nel linguaggio violento e volgare, nella trasformazione dei bisogni in diritti, nel rivendicare un assistenzialismo a 360 gradi - è il caso recente della Banca Etruria e altre. La Rai ha lavorato per Grillo, senza accorgersene. Sì, la funzione nazionale della Rai è finita. E perciò basta con i soldi pubblici! Sono passati più di vent’anni da quell’11 giugno del 1995, in cui un referendum popolare abrogò la legge, che riserva alla sola mano pubblica le azioni della Rai. Ma la privatizzazione non è mai avvenuta, l’azionariato popolare non è stato promosso.

D’altronde, la pretesa dei partiti e dei governi di orientare via Rai le informazioni, la cultura, le opinioni è messa ogni giorno in scacco dal sistema dei mass-media e non è più tollerabile in una società divenuta un po’ più liberale. È una società di minoranze in competizione. Ora, la Rai ha in cassaforte, nonostante tutto, la buona moneta di un patrimonio culturale e professionale. Che se la spenda liberamente, senza protezione statale, senza canone. E non vinca il peggiore!

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