Gioco d’azzardo
è decisivo prevenire

Casazza, ieri. I bambini entrano in cartoleria e scatta il colpo di fortuna: è giunta l’ora di accaparrarsi l’ambito Skifidol glitterato. Ne è rimasto soltanto uno ed è proprio color oro, quello inspiegabilmente sognato dalla bimba di casa. Meno di un minuto e il gioco è fatto. Dentro il locale, invece, i minuti non si contano, per la (solita) signora appoggiata alla slot machine. È che la cartoleria è pure tabaccheria e, ça va sans dire, sali e tabacchi non rendono tanto quanto il gioco d’azzardo. I figli escono chiudendo la porta dove campeggia, addirittura in duplice copia, il cartello con la frase di rito: «Il gioco è vietato ai minori». Fuori dall’esempio particolare, il dato generale che ci consegna la ricerca Espad fresca di stampa del Cnr di Pisa, commissionata dall’Ats per indagare il fenomeno del gioco d’azzardo tra gli adolescenti bergamaschi – fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni –, è che siamo accerchiati.

Lo dicono i teenager che, rispondendo agli intervistatori del Consiglio nazionale delle ricerche, ammettono una realtà disarmante: il 38% di loro riferisce di poter raggiungere i luoghi di gioco a piedi in meno di 5 minuti dalla propria casa e il 30% da scuola. Non fa una piega, chiedere alla signorina dello Skifidol. O a chi entra in cartoleria per comprarsi una Cancellik e drin, scatta il rollio della slot.

Con tanta disponibilità intorno e l’altrettanto comoda possibilità di giocare direttamente sullo smartphone (mai provato ad ascoltare gli undicenni mentre «shoppano» qualche card avanzata su Clash Royale accedendo a chissà quale carta prepagata?), non stupisce più di tanto che – per tornare alla ricerca – il 42,1% degli studenti orobici abbia giocato d’azzardo almeno una volta nella vita e il 33% lo abbia fatto nel corso dei 12 mesi precedenti la rilevazione. Stupisce un po’ di più che praticamente la stessa fetta dei minorenni ammetta la medesima cosa: il 37% dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni ha toccato almeno una volta un gratta e vinci, una slot o un gioco online (con soldi), mentre il 30% l’ha fatto nell’ultimo anno. Fin qui, direbbero i ragazzi, il solito esagerato, infastidente allarmismo «da grandi».

Fin qui. Ma c’è un «piccolo» 7,2% di studenti che l’indagine del Cnr trova problematici, cioè non più in grado di esercitare un consapevole controllo dei propri comportamenti nel gioco, ovvero a un passo dalla patologia, e un 9% a rischio. Rischio di che? La storia che pubblichiamo alle pagine 14 e 15 lo spiega chiaramente. Contiene gli stessi ingredienti di ogni storia di ogni giocatore: bugie (tante), soldi volatilizzati (di più), un unico pensiero fisso e la perdita di dignità. Per fortuna, tanti ne escono e alcuni sono giovani.

«Quando vinco cambio vita». Non sempre ce n’è bisogno, basta mettersi in coda davanti a un Sert o alla sede di un’associazione che si occupa di giocatori patologici. Per chi riesce a metterci il naso, in uno dei tanti gruppi di auto mutuo aiuto, si spalancano storie di sofferenza, menzogne che spesso durano anni, perdite tanto più assurde quanto celate anche ai famigliari più stretti. Il tutto condito dall’amaro aceto del senso di colpa: «Mi è capitato che nemmeno me ne sono accorto e con due euro messi per caso nella slot, ho rovinato l’intera mia famiglia».

Bergamo non è per niente esente dal gioco d’azzardo patologico, definizione alla quale persino gli addetti ai lavori sono allergici. Malattia del gioco: così è più semplice, ma non più indolore. Secondo le stime ne sono colpite, nella nostra provincia, almeno 5 mila persone: sono quanti, tra gli oltre 400.000 giocatori d’azzardo bergamaschi, hanno sviluppato una dipendenza vera e propria. Un’altra importante fetta (tra i 14.000 e i 40.000) sarebbero problematici, compresi nell’angusta zona d’ombra che separa il vizio dalla malattia.

Conforta però scoprire – lo dice la ricerca Espad sugli adolescenti – che, dopo l’incremento dal 2008 al 2010 delle prevalenze di «studenti giocatori», si registra un successivo decremento, con prevalenze per il 2016 inferiori a quelle del 2011. Non certo perché siano sparite le occasioni di gioco, ma, anche, per il massiccio piano di prevenzione avviato dal 2014 dall’Ats insieme al Tavolo provinciale sul gioco d’azzardo patologico, ora forte anche della legge regionale nel frattempo varata. Per la cronaca, prevede che i luoghi di gioco siano separati dal resto del locale. Così, tanto per potersi comprare un quadernone in pace.

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