Giovani e precari
il popolo dei voucher

Quella dei voucher è una storia paradigmatica di come vanno le cose in Italia. Nato per far emergere il lavoro nero dei lavoretti occasionali, l’ormai famigerato «tagliando per i lavoretti» ha finito per diventare lo strumento per coprire il lavoro nero «tout court». Nei suoi casi più estremi imprenditori disonesti, caporali e capibastone se li possono tranquillamente tenere nel cassetto e in caso di ispezione a sorpresa tirarli fuori alla bisogna affermando che il lavoratore non ha mai lavorato prima e verrà pagato a giornata proprio tramite voucher. Un bel modo per truccare i bilanci e i conti. Cui la tracciabilità istituita dal ministro del Lavoro Poletti non potrà porre rimedio per il numero esorbitante dei buoni lavoro.

L’Italia sta diventando la Repubblica dei «voucheristi», termine con cui possiamo tranquillamente indicare i nuovi proletari o iloti del lavoro. Da strumento per regolarizzare i lavoretti privati di studenti e pensionati a passaporto per la precarietà, molto comodo anche per retribuire coloro che lavorano nei notturni e nei festivi, quando un lavoratore regolare dovrebbe costare di più. Il voucher insomma sta sostituendo le finte partite Iva nello sfruttamento dei lavoratori, soprattutto giovani, manco a dirlo. I primi studi accertano un netto legame tra i tagliandi e carriere discontinue o a orario ridotto.

Del resto l’esplosione di questi biglietti da dieci euro lordi che non contemplano contributi di disoccupazione, di maternità, di malattia o assegni familiari, dovrebbe dirci qualcosa: nel 2008, anno della sua introduzione, i tagliandi staccati sono stati mezzo milione, nei primi mesi del 2016 siamo arrivati a oltre 120 milioni. Un boom che non accenna a fermarsi: difficile pensare che siamo diventati un popolo di studenti, baby sitter o raccoglitori di pomodori stagionali. Molto più facile insinuare che si tratti di una forma per «legalizzare» il lavoro nero.

Il voucher sta diventando una creatura incontrollata, come nell’invasione degli ultracorpi. Tutti i governi che lo hanno avallato, dall’esecutivo di Berlusconi a quello Prodi a quello di Renzi, lo disconoscono, nonostante lo abbiano esteso progressivamente, facendo fare un balzo indietro di quasi due secoli al rapporto tra datore di lavoro e lavoratore, pagato a cottimo, come ai tempi della Prima rivoluzione industriale.

Purtroppo non sono stati messi a punto quegli accorgimenti tesi a limitarne l’uso e a evitare abusi. Nati come buoni ad appannaggio di soli studenti e pensionati e per la sola stagione di vendemmia, hanno visto ampliare la loro platea a tutti i comparti e a qualunque soggetto. Così sono nati gli abusi e la diffusione «monstre».

Ora si tenta di correre ai ripari, ma è difficile ricacciare il dentifricio nel tubetto. Così che come quasi sempre avviene in Italia si finirà per gettare il bambino con l’acqua sporca: l’11 gennaio la Corte Costituzionale è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di tre referendum della Cgil che contemplano tra l’altro l’abolizione del voucher.

Ma se i tagliandi dovessero essere cancellati dal referendum le attività occasionali e di breve durata (per le quali i voucher sono nati originariamente) tornerebbero allegramente in nero. Così vanno le cose nel nostro Paese.

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