Gli incroci pericolosi
del partito renziano

Siamo nel mese degli incroci pericolosi: aprile, per il Pd, inizia oggi con la conclusione del voto degli iscritti nei circoli e termina regolarmente il 30 con le primarie. Nel frattempo il governo deve presentare il Def (Documento di economia e finanza) e varare la manovra correttiva di 3,4 miliardi per evitare il processo d’infrazione dell’Ue e intanto conosceremo i risultati del primo turno alle presidenziali in Francia. Più avanti, a giugno, una tornata amministrativa che non sarà indolore per i dem. A questi appuntamenti Renzi arriva con una quasi certezza, una convinzione di fondo e una prospettiva aperta.

Il primo elemento, la quasi certezza, è l’affermazione che si profila per l’ex premier nella consultazione interna: fra il 65 e il 70%, un dato superiore alle attese. Questo, in termini politici, può voler dire che la figura di Renzi è accettata e assimilata dal popolo dem, distanziandosi così da quei quadri dirigenti che talora hanno manifestato criticità, insoddisfazione, se non insofferenza, verso il segretario di nuovo in corsa.

C’è anche un effetto psicologico, complici gli scissionisti: archiviata la narrazione della «ditta» bersaniana, è rimasto pur sempre sul campo il patriottismo di partito, un consolidamento della base nella convinzione di questa leadership. Il Pd, in ogni caso, sta cambiando pelle e anche questo spiega la tendenza in corso: negli ultimi tre anni gli iscritti sono aumentati da 370 mila a 420 mila, con un ricambio di circa il 35%. Hanno lasciato, ancor prima dello strappo di Bersani, pezzi della vecchia guardia ed è arrivata una nuova generazione postideologica: uno scarto che fa la differenza. Il secondo fattore, la convinzione di fondo di Renzi, riguarda i rapporti con il governo Gentiloni, costretto a stare in vita nelle condizioni di un esecutivo di fine mandato: deve assecondare le direttive europee e non urtare l’azionista di maggioranza, il Pd renziano. L’ex premier ricorda bene la fine di Bersani che sostenne i tagli e le tasse di Monti e non ha intenzione di mettere la faccia su misure impopolari. Quando i renziani invitano Padoan ad avere una «visione politica» traducono in politichese un preciso richiamo. E qui potrebbe esserci una schiarita: niente aumento Iva e del prezzo della benzina, ma uno scatto delle accise sui tabacchi.

La terza questione, cioè la prospettiva aperta, parte dal 30 aprile: se le primarie con il voto degli elettori confermano i numeri di questi giorni, il ticket Renzi-Martina sarà investito da un successo che è anche un fardello carico di responsabilità. Il Renzi 2 potrebbe essere più maturo e riflessivo del Renzi 1, consapevole che le forzature di ieri oggi costano, che si dovrà essere più attenti nelle relazioni con i corpi intermedi e che un partito complesso non può essere guidato a vocazione unica. Ma Renzi resta pur sempre Renzi, tanto più che l’investitura coinciderebbe con la presenza di un’opposizione interna meno agguerrita rispetto ai Bersani e ai D’Alema.

A quel punto, dunque, cosa succederà? Coglierà il momento favorevole per investire sulla dotazione di voti e puntare sulle elezioni a novembre? Dopo aver ricucito con la base, sfrutterà l’attimo per capitalizzare, riaprire la connessione sentimentale con l’elettorato dopo lo schianto del referendum? La logica potrebbe essere questa, anche perché la manovra d’autunno sarà pesante e le regionali in Sicilia saranno perdenti per il Pd. Molto dipende dal vincolo esterno del voto in Francia che, comunque vada, cambierà il quadro. Se Macron, il centrista anomalo, dovesse farcela sarebbe una moneta spendibile per via delle assonanze con i renziani: un significato politico di maggior peso rispetto all’eventualità del successo di Schulz in Germania, un socialdemocratico classico. Inoltre, la sconfitta della Le Pen potrebbe allentare la morsa della dottrina dell’austerità e dare il via libera a interventi espansivi e socialmente meno dolorosi per sostenere in chiave europeista Paesi come l’Italia, in difficoltà e prossimi al voto.

Sono tante le variabili da sondare e Renzi dovrà mettere insieme una tela complicata, conoscendo i paletti di Mattarella per poter anticipare la fine legislatura, i limiti di una legge elettorale che non dà garanzie in tema di governabilità, il dialogo con le tante anime del partito. Un equilibrio in cui sono vietati passi falsi.

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