Governo di cambiamento
Debito di tutti

Più del 60% degli elettori manifesta aperta simpatia per un esecutivo di cambiamento. L’opinione pubblica segue con interesse e partecipazione la formazione di un governo giallo-verde, il cui programma economico, almeno nelle intenzioni iniziali, è di rottura e preannuncia, secondo le proiezioni dell’Osservatorio conti pubblici italiani dell’Università Cattolica, spese di bilancio dai 108,7 a 125 miliardi a fronte di una copertura di 500 milioni.

Fatte salve le legittime simpatie per l’una o l’altra formazione politica ci si domanda come sia possibile dar credito a prospettive di evidente irrealizzabilità. L’Europa può gridare quanto vuole ma il vero vincolo alle finanze italiane non viene da Bruxelles. Il nostro unico e inesorabile censore è il mercato. Ogni anno abbiamo la necessità di reperire 400 miliardi per finanziare pensioni, servizi sanitari, stipendi della pubblica amministrazione e via di seguito. Se il sistema, in ragione degli eccessivi debiti e di una politica economica azzardata diventa a rischio, gli investitori internazionali invece dei Btp italiani comprano per esempio i Bonos spagnoli. E stiamo parlando di un Paese angustiato dalla minaccia di secessione della Catalogna. Succede però che molti elettori imputano i debiti accumulati negli anni dallo Stato italiano alla classe politica e quindi rivendicano una sorta di innocenza. Non si ritengono responsabili dei guasti ereditati. Li induce a pensare in questi termini una crisi economica che si è scaricata sulle loro spalle e per la quale sono stati pagati costi enormi in termini di perdita di posti di lavoro e di reddito. Si tenga presente che nel 1998 il 34,9% delle famiglie italiane alla fine del mese riusciva a risparmiare, più di un decennio dopo era al 18,1%, quasi dimezzata. Tutto questo mentre una minoranza, tra i quali i politici, godeva di privilegi. Da qui il sentimento di ingiustizia covato negli animi e il desiderio di cambiamento radicale. Una volontà simile si era espressa anche alle elezioni europee del 2014 quando il Pd di Matteo Renzi, in nome della rottamazione, fu premiato con il 40% dei consensi. Ma dopo quattro anni siamo di nuovo punto e a capo.

Il grande problema è che sono cresciuti i settori parassitari della società italiana. A partire dagli anni ’70 cresce la domanda di assistenza e di protezione e lo Stato non è più in grado di farvi fronte con i soli proventi delle tasse. È da allora che lo Stato italiano vive al di sopra dei propri mezzi. Si ampliano le assunzioni nella Pubblica amministrazione per calmierare la richiesta di un posto di lavoro al Sud. Quindi più stipendi pubblici, più pensioni senza alcun criterio di sostenibilità (si pensi alla possibilità di godere di un vitalizio pensionistico dopo 19 anni e sei mesi di servizio, laurea compresa) più sussidi e più spesa pubblica. Ancor oggi si calcola che la piaga dei falsi invalidi costi alle casse dello Stato 8 miliardi l’anno. Una forma di reddito di cittadinanza occulta. Come del resto lo sono i migliaia di posti di lavoro fasulli, creati ad arte per calmierare la piaga endemica della disoccupazione. Si sono generati nel tempo degli accumuli di lavoro improduttivo che hanno finito per incidere sulla parte produttiva del Paese. Il debito italiano ha un nome e un cognome e non è solo quello dei politici.

© RIPRODUZIONE RISERVATA