Governo diviso
e l’amico di Trump

Il premier Conte va dall’amico Trump, mentre in Italia il fuoco amico fra i due contraenti della maggioranza, Salvini e Di Maio, denuncia le contraddizioni fra idee alternative di società: Tav e stretta sui contratti a tempo determinato. Il presidente Mattarella ha affermato, nei giorni scorsi, il valore della reputazione italiana e la verifica si ha domani con l’incontro a Washington, la prima visita ufficiale dall’insediamento del nuovo governo a casa dell’alleato indispensabile. Il vertice avviene all’indomani della tregua sui dazi fra l’imprevedibile inquilino della Casa Bianca e l’Europa, quel vecchio continente definito «nemico» dal presidente americano.

L’«avvocato del popolo» che si propone come populista soft ha bisogno, dopo le prime uscite internazionali, di accreditare l’esecutivo giallo-verde guardato a vista dalle principali cancellerie europee. Fra Trump e Conte è scattata una reciproca simpatia, ma quel che conta – in termini anche critici – è che il governo italiano è fatto per piacere al presidente Usa. Così come, per motivi non sempre coincidenti, ha ricevuto il plauso di Putin. In questa fase revisionista dei vecchi assetti liberaldemocratici, la domanda è da che parte penda la diplomazia italiana: fra «America first», Europa, Russia. Che cosa comporta la sintonia fra il «governo del cambiamento» e la rottura praticata dal protezionista Trump nei confronti dell’Europa. Fra continuità e fughe in avanti, la prospettiva del governo Conte è sotto esame, benché il presidente del Consiglio abbia dichiarato che euro e Nato non sono in discussione. Salvini ha giustificato l’annessione russa della Crimea, per essere poi smentito dalla Farnesina. Gli interessi comuni fra le due sponde dell’Atlantico sono meno numerosi di un tempo anche recente ed è difficile conciliare europeismo e atlantismo. In agenda c’è la stabilità del Mediterraneo centrale, dove l’Italia, nel pieno del confuso contenzioso con Bruxelles sulle politiche migratorie, si aspetta di essere sostenuta nella leadership sulla Libia in competizione con la Francia. Per Mister Conte, al di là di quello che sarà presentato come un successo, il sentiero è scivoloso. Il pericolo è che l’Italia sia utilizzata come cavallo di Troia per smontare quel poco che resta della solidarietà europea: conciliare lo strappo sovranista e la tutela del rapporto con i partner europei (Germania-Francia) è un equilibrismo a rischio credibilità.

Sono temi a forte impatto ambientale e sociale, alla luce anche di un’altra questione che sarà discussa con Trump e che rientra nella controversia di questi giorni nel governo: il completamento del Tap, il gasdotto che trasporterà il gas naturale dal Mar Caspio in Europa, approdando in provincia di Lecce. L’opposizione all’opera, che ha il sostegno del Quirinale e del ministro degli Esteri Moavero, è una bandiera dei grillini. Ma l’avvocato Conte, che è un esperto in arbitrati, ha capito che c’è poco da fare, in quanto il gasdotto è protetto da contratti internazionali e quindi bisogna ingoiare il rospo. Si capisce così la scelta dei tempi di dirottare in contemporanea lo scontato attivismo dei Cinquestelle sull’altro tema identitario: la messa in discussione della Tav.

L’idea della valutazione costi-benefici della tormentata Alta velocità in Piemonte equivale ad un sondaggio nella comunità grillina, che si presenta divisa. La mezza rivolta del mondo produttivo e il «no» della Lega fanno il paio con l’analoga situazione nel Nordest contro il «decreto dignità». Se gli imprenditori devono misurarsi con il proprio tardivo pentimento, Salvini deve constatare che il suo progetto «nazionale» comincia a far pagare qualche prezzo al Nord, cioè alla terra eletta della Lega. Dopo le briciole (il ricalcolo dei vitalizi agli ex parlamentari) e in attesa della legge di bilancio, è il momento delle scelte al bivio fra sviluppo e declino del Paese. Il premier che va da Trump è, nelle condizioni date, più un uomo di mediazione che di indirizzo politico. Un carattere che ricuce, più che esercitare una leadership. Alla guida di un governo senza baricentro e diviso dalla frattura territoriale Nord-Sud e da due elettorati dalle aspettative che non si tengono: decrescita felice e suggestione anti industriale da una parte, difesa dell’avamposto italiano nel mondo global dall’altro. In definitiva: la residua forza di Conte è la sua debolezza politica, mentre il passo felpato del ministro dell’Economia Tria lascia intendere che l’esecutivo potrà avere un suo percorso se rinuncia alle componenti vulnerabili della propria ragione sociale, cioè al rispetto integrale dei fondamentali del contratto. Il rammendo per salvare la faccia è sempre possibile, ma il cortocircuito è dietro l’angolo: non è il primo, non sarà l’ultimo.

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