I cattivi affari
con amici ambigui

Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito. Presi dalle drammatiche notizie che arrivano dal fronte islamico in ebollizione, anche noi corriamo il rischio degli stolti: perdere di vista il retroscena delle stesse notizie, il contesto dove quei fatti maturano. Nei giorni scorsi è passata in sordina l’acquisizione da parte della Qatar Holding del 100% di Porta Nuova, il quartiere di Milano composto da 25 edifici, di cui 8 grattacieli (per un totale di 380 unità abitative) compreso il più alto d’Italia.

L’area, che è arricchita anche da zone pedonali, piste ciclabili e un parco di 90 mila metri quadrati, sul mercato vale due miliardi di euro: l’investimento iniziale dei primi soci era stato di 300 milioni. La Qatar Holding è controllata dal fondo sovrano Qia (Qatar investment authority) creato nel 2005 per gestire le sconfinate rendite petrolifere dell’emirato: oggi ha un patrimonio che supera i 60 miliardi di dollari, composto soprattutto proprio da asset immobiliari. Qia fa capo allo sceicco Suhami al Thani, membro della famiglia reale. Il fondo a Parigi controlla la squadra di calcio del Psg, ha acquisito diversi palazzi sui Champs Elysées e alberghi di pregio. In Germania è il secondo azionista della Volkswagen. In Italia ha già messo le mani sulla Costa Smeralda e comprato l’hotel Gallia a Milano.

In linea di principio ben vengano investimenti così cospicui in tempo di crisi. Ma c’è una grande obiezione, ben espressa da Stefano Boeri, proprio l’architetto che ha disegnato il Bosco verticale di Porta Nuova: «Si tratta di un investimento di un governo straniero (il Qatar, ndr), questo implica riflessioni geopolitiche importanti. È un peccato che oggi in Europa non ci sia questa riflessione su investimenti certamente necessari, ma che avrebbero bisogno di clausole di trasparenza. E poi vedo un grande paradosso, che è anche un segnale di schizofrenia di questa città. Vendiamo a uno stato islamico un pezzo del nuovo centro, ma non sappiamo dare un luogo di culto ai cittadini milanesi di fede islamica».

Ora, il Qatar non è un Paese qualsiasi: la petromonarchia, proprio in virtù delle sue immense ricchezze, è in primo piano nella destabilizzazione del Medio Oriente e del Nord Africa, finanziando l’ampio fronte dei gruppi jihadisti, compreso il Califfato di Al Baghdadi. Il regime di Doha è prossimo all’islam più settario, quel wahabismo caro anche ad un’altra petromonarchia, l’Arabia Saudita, ricco alleato dell’Occidente e degli Stati Uniti in particolare: per questa vicinanza gli abbiamo regalato lo status di Paese moderato. L’aggettivo è qui usato senza senso del tragicomico, definendo uno Stato che vieta tra l’altro la costruzione di chiese e manda in carcere chi è trovato in possesso del Vangelo.

Del resto l’Occidente porterà in dote all’altro alleato moderato, il Qatar, i mondiali di calcio del 2022: saranno disputati a Natale in ossequio ai petrodollari. Pecunia non olet, il denaro non puzza, dicevano i latini. Lo sanno bene gli svizzeri: fra i titolari di conti bancari nella filiale elvetica di Hsbc (svelati dalla famigerata lista Falciani) c’erano anche uomini della Golden chain, il gruppo dei principali finanziatori di Al Qaeda.

Il denaro non puzza ma può far male. Seguirne le tracce permetterebbe di dare più coerenza alle scombinate alleanze. Meno acrimonia contro i poveri cristi che sbarcano sulle coste siciliane, vittime di guerre foraggiate anche dalle petromonarchie, più attenzione ad altri movimenti (finanziari). Si chiede ai palestinesi di rinunciare al terrorismo come precondizione di trattative che portino finalmente al riconoscimento del diritto ad avere un proprio Stato. La stessa rinuncia la si potrebbe reclamare agli emirati amici. Gli affari sono affari. Ma ci sono anche pessimi affari.

© RIPRODUZIONE RISERVATA