I cattolici in politica
Le buone mediazioni

Le elezioni sono alle porte e, come spesso capita, anche stavolta non è mancata la corsa al cattolico da mettere in lista. Vuoi perché si presume, sbagliando a mio avviso, che possa portare voti (che arrivano o non arrivano per molte ragioni, non certo perché uno è cattolico), vuoi perché, soprattutto in un territorio come il nostro, è sempre buona cosa esibire qualcuno che - si pensa - sia visto bene dalle gerarchie ecclesiastiche. In realtà, da anni, la corsa al cattolico e la richiesta di entrare in lista sono concentrate quasi sempre sulle stesse, poche, persone. Così come nel dibattito pubblico, sui temi di rilievo della convivenza civile, intervengono, quasi sempre, le stesse, poche, persone.

Un segnale che, come credenti, dovrebbe preoccuparci. La variante di questa tornata elettorale è che i cattolici – soprattutto coloro che sono candidati dal Partito democratico - sono stati posti in posizioni defilate e alcuni rischiano seriamente di non essere eletti. E dunque la rappresentanza di un mondo che, bene o male, costituisce la maggioranza della gente delle nostre comunità rischia di essere azzerata rendendo evidente, nei fatti, anche la fine di un partito nato originariamente come sintesi delle diverse culture politiche che lo hanno fondato. Eppure la questione non può ridursi al numero di eletti al Consiglio regionale o al Parlamento nazionale.

Occorre chiedersi quanto i cattolici – anche nella nostra terra bergamasca - siano ancora oggi, per la vita politica, un elemento significativo, in termini di lievito e di pensiero. Personalmente credo che la questione della presenza politica dei cattolici sia stata praticamente rimossa dopo la fine dell’unità nella Democrazia Cristiana: la diaspora che ne è seguita non ha consentito tuttora – al di là di un generico impegno alla testimonianza personale e pubblica della propria fede – di trovare il modo di mediare «laicamente» i valori cristiani nella cultura e nella società secolarizzata e pluralistica di oggi. Non è sufficiente – avvertiva con lucidità il cardinale Martini – limitarsi a proclamare quelli che – qualche anno fa – chiamavamo «valori non negoziabili» ed esigere che la legislazione li promuova, «se non ci si fa carico di una ricerca paziente di soluzioni pratiche che tengano conto anche di chi ha concezioni diverse» (discorso di Sant’Ambrogio, 1996), se non si cercano strade politiche condivise.

«Questo della mediazione antropologico-etica – precisava – è forse uno dei lavori più importanti e urgenti per i cristiani impegnati in politica, ed è uno dei contributi più fecondi che le comunità cristiane possono dare alla società civile oggi»; i principi della fede, lungi dal trasformarsi in motivo di conflitto e di contrapposizione all’interno della convivenza civile, «devono risultare vivibili e appetibili anche per gli altri, nel maggior consenso e concordia possibili» (ivi). Lo stiamo sperimentando in questi mesi. Di fronte alla semplificazione di slogan e proclami che parlano seduttivamente alla pancia della gente, non si sono levate con forza voci di politici che davanti al fenomeno strutturale delle migrazioni, siano stati capaci di assumere l’impegno evangelico («ero forestiero e mi avete accolto») e di tradurlo, laicamente e con competenza, dentro proposte possibili e praticabili. Dunque, ciò che abbiamo sotto gli occhi altro non è che il frutto di una lunga stagione che ha visto rinunciare molte comunità cristiane a formare credenti che hanno cura e passione per l’umano e che, laicamente e con rigore, non solo con le intenzioni, partecipano alla costruzione della città di tutti.

Comunità cristiane che hanno rinunciato a formare cittadini consapevoli che si può e deve fare politica – sapere e prassi che ha leggi e valori specifici che non possono venire posti a lato – solo se si praticano buone mediazioni, che siano incarnazione dei principi o dei valori attraverso l’azione. In caso contrario si condanna o al tradimento dei valori oppure all’inefficacia politica. La costruzione della mediazione è il modo politico di mettere in pratica la necessaria coerenza con i valori cristiani. Per far questo, occorre costruire strumenti culturali adeguati e luoghi di incontro, dibattito ed elaborazione che, attualmente, non vedo molto presenti nella comunità cristiana. Se questo non accade, perde forza l’annuncio del Vangelo ma certamente si impoverisce anche la città dove i cristiani, insieme a tutti gli altri, vivono.

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