I gufetti di Renzi
e la sinfonia d’autunno

Questa volta nelle slide cui ci ha abituato in occasione delle sue conferenze stampa, Matteo Renzi ha sostituito il pesciolino rosso con i gufetti. Al posto della simpatica carpetta che serviva ad indicare gli obiettivi del governo, è arrivato il predatore notturno che il presidente del Consiglio ha elevato a simbolo di tutti i malpancisti, i pessimisti, gli sfascisti e gli indolenti d’Italia.

«Nel 2014 i gufi dicevano che…nel 2015 è successo il contrario»: è andato avanti con questo ritmo il tradizionale incontro di fine anno del capo del governo con la stampa parlamentare. E i capitoli di questa contrapposizione sono già noti: il Jobs Act, la legge elettorale e le riforme costituzionali in genere, l’Expo, la Buona scuola, via la Tasi ecc.

Tutte cose date (effettivamente) per improbabili o impossibili dagli oppositori - politici e giornalistici - di Renzi e che invece hanno poi visto la luce. Forse la soddisfazione maggiore Renzi se l’è presa proprio con l’Expo, il caso più clamoroso di rovesciamento delle previsioni: dal fallimento certo della vigilia, anzi dell’antivigilia quando si diceva che l’Esposizione non sarebbe stata pronta per l’inaugurazione, al successo dei venticinque milioni di visitatori in quel di Rho dove Grillo aveva predetto che mai nessuno avrebbe avuto la balzana idea di andare a fare una gita. Su queste previsioni Renzi non perdona, e le slide col gufetto sono servite proprio a questo, a togliersi parecchi sassolini dalle scarpe.

Per il resto, la «narrazione» - o storytelling come adesso va di moda scrivere - del premier non è cambiata: la convinzione che l’Italia sia ormai ripartita e che si tratti ora soprattutto di sostenere la ripresa economica del Paese fa da sottofondo a tutto ciò che esce quotidianamente da Palazzo Chigi. Il cui inquilino numero uno ha abilmente legato il proprio futuro politico al referendum consultivo sulle riforme costituzionali che si terrà nel prossimo autunno per l’iniziativa della stessa maggioranza parlamentare che ha approvato le riforme. «Se il referendum va male lo considererò il fallimento del mio progetto».

Abile mossa dicevamo, per due ragioni. Primo, perché quando agli italiani si andrà a proporre la semplificazione della pachidermica e lenta macchina parlamentare che ci portiamo dietro dal Dopoguerra e la riduzione di poltrone e stipendi non potranno che dire sì (come già oggi testimoniano i sondaggi). Secondo, perché guardando all’ottobre 2016 si evita di fermarsi alla primavera prossima quando parecchi milioni di concittadini saranno chiamati a eleggere i sindaci delle più importanti città italiane: Roma, Milano, Venezia, Napoli. Gli esiti per il Pd sono più che incerti, parecchi anzi temono un vero e proprio schiaffone da parte dell’elettorato. Tanto vale allora, dal punto di vista di Renzi, cercare di disinnescare la carica politica e il valore nazionale del test. Renzi non dimentica che Massimo D’Alema si dovette dimettere per via della sconfitta del centrosinistra alle regionali del 2000 nelle quali si era personalmente impegnato, e non ha alcuna intenzione di fare il bis.

Altro elemento importante della conferenza stampa è la percettibile variazione di tono nella polemica con la Germania di Angela Merkel e la Commissione Junker su banche, flessibilità di bilancio e aiuti di Stato: confermati tutti gli argomenti («Non chiediamo sconti, solo l’applicazione uguale per tutti delle regole già esistenti») ma con un tono che è apparso meno esasperato, probabilmente in vista del via libera definitivo che Bruxelles dovrà dare in primavera alla legge di Stabilità.

© RIPRODUZIONE RISERVATA