I «numerini»
e gli applausi

In tempi di semplificazione e negazione dei fatti scomodi, in politica è anche possibile proclamare che i cittadini contano più dei «numerini», e avere applausi. Il principio non vale però in campo bancario, dove i numerini contano: non sono tutto, ma quanto meno non sono scambiabili con temporaneo consenso. Un banchiere in cerca di consenso sarebbe da cacciare sui due piedi. E accusare quello che sta alla Bce di essere un cattivo italiano, ci fa molto male, perché il suo compito è quello di garantire tutti, e già ricordare che Draghi è un italiano irrita i tanti Paesi, soprattutto i sovranisti, che non ci amano, perché siamo spendaccioni e indebitati.

La politica assicura che la crescita (immaginaria, per tutti, ma proprio tutti, gli osservatori nazionali e internazionali) risolverà ogni cosa. Se fosse vero che la nostra economia, sospinta dalla fiducia per governanti tanto affidabili, crescerà del 50% in più il prossimo anno, faremmo fatica lo stesso, ma sarebbero meno importanti sia il deficit (2,4 per il Governo, 2,7 per le agenzie più benevoli) che il debito, appesantito da elargizioni a prestito. Sarebbe anzi un miracolo la crescita di un Paese in cui si anticipano le pensioni (pur senza spiegare che saranno decurtate) e si garantisce un sussidio sul divano, basato su elenchi tutti preparati da Centri dell’impiego (regionali) che spesso non hanno neppure i soldi per eventualmente telefonarti che hanno trovato per te un ottimo posto a meno di 50 chilometri da quel divano.

Se la manovra del popolo fa dunque sognare, per le banche, invece, i numeri sono già lì, allineati, e sono preoccupate, e non solo per le nuove tasse che le riguardano (il popolo non le ama...).

Fino a ieri, la questione era quella dei crediti deteriorati, crediti esistenti solo sulla carta, concessi a volte a «cittadini» poco affidabili o troppo amici. Solo 3 anni fa valevano il 18%, oggi sono scesi all’11% e per Abi la discesa prosegue. È una disintossicazione che potrebbe finalmente far bene. Ma l’ossigeno bancario sono i finanziamenti, il loro costo e la loro dimensione. E qui nasce un problema molto grosso per tutti, non solo per chi sta maluccio, come Mps o Carige. Non dimentichiamo, per inciso, che tra pochi giorni usciranno gli stress test, e speriamo di non avere altre sorprese.

Da maggio ad agosto sono fuggiti dall’Italia 75,7 miliardi di investitori esteri, e il flusso continua. Quanto agli italiani non sono stati certo invogliati dal «contratto», dalla nomina di Borghi e Bagnai a guardiani del bilancio, e infine da questa bella manovra, redistributiva ma a debito.

Il rating bancario, che segue quello del Paese di appartenenza, nel frattempo non ha aiutato. Se hai un voto di livello A trovi tutti i finanziamenti a breve che vuoi. Se vai sotto in classifica, già a B è più difficile.

E non può essere diversamente se i bilanci delle banche hanno in corpo titoli nostri per centinaia di miliardi e se questi - via spread ormai stabile sopra 300 - perdono valore. Sono soldi che vanno nella colonna delle perdite non solo dello Stato (mangiandosi i nuovi prestiti) ma anche appunto delle banche.

Risultato: secondo dati del Centro Europa Ricerche, l’indice di solidità degli istituti (rapporto tra capitale proprio e credito erogato) scende: -70 punti da aprile. Dieci punti sotto la media europea.

Ora, siamo quasi ad un bivio: o si rifinanziano 53 miliardi con aumenti di capitale improbabili (o fusioni difficili), o si restringe di 53 miliardi il livello dei prestiti.

Per aiutarci, sembra che Conte abbia chiesto soldi a Putin, ma il fondo russo è piccolo e per statuto non può intervenire in Italia... Tempo sprecato e politica estera confusa.

Resta il «cattivo italiano» Mario Draghi, che in questi anni ha acquistato 360 miliardi di nostri debiti, ma ora la pacchia è finita e il Quantitative Easing ci saluta. Per noi resta solo uno strumento che si chiama Omt (Outright monetary transactions, Operazioni definitive monetarie), che contribuisce a salvare l’economia di un Paese euro non perché il Governatore di turno è un amico, ma perché tutti temono il default di un socio. In cambio, arrivano però condizioni pesanti e la troika. Fine del sovranismo.

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