I rifiuti tra finta emergenza
e mancanza di programmi

Un maiale tra i rifiuti di Roma. In zona Romanina, in via del Ponte delle Sette Miglia per essere precisi. La foto appare sul sito di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, subito ripresa dai media. L’interesse di parte è evidente. Lo stato comatoso del decoro e dell’igiene pubblica nella capitale anche. Foto di cinghiali nelle strade della capitale non erano una novità anche nel recente passato. I cassonetti in molti quartieri sono stracolmi ed è di questi giorni la polemica per la difficoltà di provvedere allo smaltimento. È ormai una storia vecchia che si ripete nel tempo. Roma è solo il versante più esposto mediaticamente di una parte d’Italia incapace di fronteggiare la quotidianità amministrativa.

I rifiuti non sono un’emergenza. Lo diventano se non si provvede per tempo alla pianificazione e quindi al trattamento. Emergono in questa parte d’Italia tutti i limiti di una cultura di governo legata all’improvvisazione e all’idea che i problemi non esistono se non quando scoppiano in tutta la loro dirompenza. Allora scatta la molla dell’indignazione. Probabilmente una reazione emotiva che viene da secoli di servaggio quando alla Masaniello si scendeva in piazza contro il regnante e il padrone di turno, salvo poi, a rabbia sbollita, ritornare alla cura del proprio interesse personale nella totale indifferenza per la cosa pubblica. È la differenza fra cittadino partecipe del suo destino e chi subisce il riflesso condizionato del suddito. È quanto emerge dagli studi in materia, primo fra tutti Robert D. Putnam con il suo «La tradizione civica nelle regioni italiane».

Il Nord Italia può contare sulla tradizione dei Comuni, il Sud ha altri costumi politico-sociali. Resta il fatto che la differenza fra le due Italie emerge in maniera sempre più marcata sotto le sfide della modernità e della globalizzazione. I rifiuti sono un caso classico perché richiedono preveggenza e capacità di pianificazione. Per chi vive alla giornata è un’astrazione e per i politici un’entità sulla quale diventa difficile costruire carriere. I frutti delle programmazioni si vedono a medio termine e gli effetti li godono i futuri amministratori. Un regalo che nessuno intende fare al proprio successore. Anche perché l’elettore ha la memoria corta e a lui in molti casi preme più la raccomandazione spicciola per un favore, un posto per il figlio, un occhio chiuso per un’infrazione, due occhi chiusi per la casa abusiva ecc. della promessa di fattibilità per un inceneritore. Che quando finalmente arriva alla fase di realizzazione, come ad Acerra ai tempi della giunta Bassolino, va a scontrarsi con l’ecologismo giacobino.

Certo l’aspirazione è quella di arrivare a zero rifiuti con una raccolta differenziata capillare. A Roma l’amministrazione 5 Stelle si era posta l’obiettivo del 70% con conseguente rifiuto dei termovalorizzatori. Sulla carta non fa una grinza e l’impegno etico verso l’ambiente viene premiato. Solo che abituare i cittadini a gestire i propri rifiuti come qualcosa di sé e non altro da sé è un processo che non dura un mese. La monnezza è il retaggio culturale che viene dalla storia. Ci hanno convissuto generazioni su generazioni e solo ora con le megalopoli dell’età moderna ci si accorge che le ricette del passato non bastano. Da qui la faciloneria collettiva, le fughe in avanti dei puristi che pensano a Roma come alla Scandinavia e il ritardo culturale di chi nell’oscurità dei traffici illeciti spera di rimuovere il problema. Per la nuova giunta di Roma è tempo di un sano realismo. Solo i fatti contano per chi amministra. L’inesperienza in politica non è un peccato. Ad una sola condizione: aver il coraggio di ammetterla.

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