I trasporti in montagna
non sono un optional

«Il sistema dei trasporti per una nazione, può essere paragonato al sistema circolatorio del corpo umano. Se in alcune aree il sangue smette di circolare, la parte va in necrosi». Così argomenta Carlo Tosti, direttore dell’Osservatorio mobilità e trasporti dell’Eurispes. L’opinione fotografa una realtà che sembra sfuggire ai nostri governanti: la crisi che ha colpito le fasce della popolazione con redditi medio/bassi ha condotto a un aumento dell’uso dei mezzi pubblici; nel contempo i servizi di trasporto, invece di migliorare, sono peggiorati.Il fenomeno, naturalmente, penalizza in maniera più marcata le zone del Paese nelle quali il trasporto pubblico locale non ha alternative plausibili. Esemplare, in proposito, il caso - già oggetto di denuncia su queste colonne - di due piccole frazioni di comuni montani (Spiazzi di Gromo e S. Antonio Abbandonato di val Brembilla) nei quali il servizio è stato soppresso da un giorno all’altro.

I responsabili della Sab, che gestiva il servizio, si sono difesi, sostenendo che il taglio delle risorse non permette di garantire un servizio non remunerativo per l’azienda. Come dire: i tagli sono obbligati e ci spiace per chi ci capita. Argomenti che sembrerebbero non fare una piega nell’ottica sempre più pervasiva dell’ineluttabilità di piegarsi alle ferree leggi del mercato. Argomenti, peraltro, che hanno facile presa, tenuto conto che - secondo i dati di una ricerca Censis - negli ultimi otto anni i contributi pubblici per il trasporto locale sono diminuiti del 12%. Quindi, appare del tutto conseguente e razionale partire dall’eliminazione delle parti meno remunerative del servizio. Ma la logica dei tagli dei «rami secchi» non tiene conto di un fattore di ben maggiore rilevanza civile: il diritto dei cittadini di poter accedere a un servizio pubblico. Per il solo fatto che pagano le tasse. L’universalità dei pubblici servizi è un connotato essenziale delle società democratiche. E tale diritto deve essere garantito, a maggior ragione, nelle zone disagiate e per le persone che non hanno possibilità alternative.

Ci si aspetta, per caso, che i 15 studenti di Spiazzi e gli 11 di S. Antonio Abbandonato vadano a piedi a scuola o che i genitori, che forse lavorano, li accompagnino ogni giorno? Naturalmente, qualcosa è stato fatto per attenuare i disagi, ma le prospettive - a sentire il direttore dell’Agenzia di trasporto pubblico del bacino di Bergamo – non sono rosee, poiché nella nuova programmazione sono previsti altri tagli. E i disagi continueranno a crescere, in particolare nelle zone montane. Nell’insieme occorre prendere atto che – tanto a livello nazionale quanto a quello regionale e provinciale - le risposte della politica alle esigenze di milioni di cittadini, che quotidianamente sono costretti ad utilizzare il trasporto pubblico per i loro spostamenti, restano insufficienti. A dispetto delle fin troppo ottimistiche valutazioni dell’Istat (luglio 2016), a sentire le quali le cose vanno sempre meglio perché nelle grandi città i fruitori di car sharing e bike sharing si moltiplicano come funghi dopo un acquazzone. Sembra di vivere in due mondi diversi. Anzi, a dirla tutta, sono due mondi diversi, ma chi governa sembra non accorgersi che il grosso del problema non sta nelle metropoli (che pure hanno i loro impicci), ma nelle migliaia di comuni piccoli dislocati – al nord come al sud - in zone orograficamente difficili e nelle quali il servizio pubblico non è un optional.

A questo deficit di visione politica nelle scelte da compiere, si aggiungono aspetti che sfiorano il delirio. Il sindaco di Val Brembilla denuncia che, a detta del direttore dell’Agenzia del trasporto pubblico del bacino di Bergamo, il tipo di contratto stipulato con il comune limita l’uso dei pullman agli studenti. Di conseguenza, l’anziano che sta alla fermata, non può salire, resta a terra. Chissà, forse potrebbe risolvere il problema iscrivendosi ad una scuola serale. Cavilli simili sono uno schiaffo non soltanto ai diritti, ma perfino al buon senso. Che dovrebbe essere una dote comune. Qui, al contrario, è «fuori del Comune».

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