Il debito bocciato
Cosa rischia l’Italia

Eccola qui la «letterina», come la chiama sprezzante Matteo Salvini. È firmata dal vicepresidente della Commissione europea, il lettone Valdis Dombrovskis, e dal responsabile degli Affari economici, il francese Pierre Moscovici. Dice sostanzialmente quello che già sapevamo: l’Italia non ha fatto sufficienti progressi sul debito nel 2018. La Commissione chiede quindi una risposta entro domani. Dopo la «letterina» lo spread, che è la differenza tra i titoli decennali tedeschi e quelli italiani e misura sostanzialmente la tenuta del nostro debito pubblico, ha ricominciato a salire.

È probabile che nei prossimi giorni assisteremo a un «deja vu» del tutto simile a quanto abbiamo visto l’inverno scorso: dietro i toni burbanzosi del trionfatore delle elezioni europee Salvini, il premier Conte e il ministro Tria intavoleranno una serrata trattativa per evitare che la lettera diventi ammonizione e poi sanzione. Una sanzione da 3 miliardi e mezzo di euro: un quarto di manovra economica.

Il leader della Lega non ha certo abbassato i toni, com’era prevedibile. Anzi, ne ha approfittato per illustrare il suo «new deal»: «La priorità è abbassare le tasse», ha ribadito in una diretta Facebook dal tetto del Viminale, annunciando che la Lega è già pronta a portare in Consiglio dei ministri un piano per la riduzione delle imposte anche alle famiglie, finora rimaste all’asciutto. L’idea di fondo resta quella di estendere il regime della flat tax, applicata per la prima volta quest’anno alle partite Iva, anche alle famiglie con redditi inferiori a 50 mila euro lordi. Un’operazione che secondo il vicepremier e leader della Lega costerebbe 30 miliardi di euro, ma che a sua detta si ripagherebbe da sé, almeno in parte, grazie al maggior gettito che garantirebbe dal secondo anno di applicazione. Tesi piuttosto ardita. Un po’ come attutire la caduta prendendosi per i capelli come faceva il barone di Munchausen.

Il piano comunque prevede anche l’estensione progressiva della tassa piatta (ovvero uguale per tutti, non progressiva) già applicata alle imprese: quest’anno le partite Iva con fatturato fino a 65 mila euro pagano il 15% di imposte forfettarie, mentre dall’anno prossimo quelle che fatturano tra 65 e 100 mila euro applicheranno una flat tax del 20 (chi guadagna di più applicherà invece l’aliquota ordinaria del 24%). Poi una promessa solenne: «Non tasseremo la casa, non tasseremo i conti correnti e non aumenteremo l’Iva».

Ora la domanda sorge spontanea: dove prenderemo tutto il denaro occorrente per un’operazione da 30 miliardi (ma a detta di tecnici meno ottimisti ne varrebbe addirittura 50)? A parte la solita «spending review» annunciata nei ministeri e qualche avanzo raschiato dai fondi stanziati per il reddito di cittadinanza, la risposta è una sola: non potendo stampare moneta e imporre tasse, li prenderemo a debito. Sperando che qualcuno ce lo compri, il debito. Sforeremo ulteriormente sul deficit, in barba a tutti i vincoli europei possibili e immaginabili, osando ciò che nessun governo, né quello di Prodi o di Letta, di Renzi e nemmeno di Berlusconi e Tremonti osarono mai fare. Ma non illudiamoci. Sperare che la prossima Commissione votata dal nuovo Parlamento sia più «mansueta e conciliante» di quella attuale è una pia illusione. Senza contare che oltre alla Commissione avremo il fiato sul collo dei mercati. Se sale lo spread e gli investitori internazionali vendono i nostri titoli di Stato non credendo più alla solvibilità del nostro ipertrofico debito sovrano, servirà a poco fare i sovranisti.

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