Il debito pubblico
indebolisce lo Stato

Jean Claude Juncker, Presidente della Commissione europea, ha recentemente dichiarato: «La correzione dei debiti pubblici da parte di tutti i governi europei sui quali grava un pesante debito deve essere un impegno serio». Una riflessione condivisibile, basata sulla convinzione che il debito diventi non più sostenibile quando il suo costo eccede la crescita. Questa circostanza non si è fino ad oggi verificata nel nostro Paese, in quanto i tassi d’interesse, grazie alle politiche poste in essere dalla Bce, si sono mantenuti molto bassi. La spesa per interessi sul debito (circa 90 miliardi di euro) è tuttavia destinata ad aumentare nei prossimi anni in presenza di una progressiva crescita dell’economia.

La riduzione del debito, quindi, dovrebbe porsi quale obiettivo primario da perseguire, tenuto conto che il suo ammontare, pari al 132% del Pil, è all’origine di una pressione fiscale ormai insostenibile per i cittadini e le imprese.

Al contrario, in questi primi giorni di quella che si preannuncia essere una lunga campagna elettorale, tutte le parti politiche si affannano a presentare una serie di proposte di politica economica e sociale nella sostanza tendenti a incrementare il debito, per lo più dovute al fatto di non voler toccare gli interessi di questa o di quella parte.

Ciò che è grave, però, è che manca, in un contesto politico sempre più prigioniero di narrazioni demagogiche, una seria rappresentazione dei molteplici fenomeni negativi prodotti da un debito così elevato che, oltre a frenare crescita e occupazione, potrebbero in alcuni casi produrre effetti talmente distorsivi da porre lo Stato in conflitto con interessi primari dei propri cittadini.

È il caso, ad esempio, della necessità di porre una forte limitazione al fumo che, come noto, nuoce gravemente alla salute. In molti Paesi sono stati adottati interventi drastici. In Inghilterra si è portato il costo delle sigarette a 12 euro, in Australia a 18, con una sensibile riduzione dei consumi. Si dirà che a subirne le conseguenze siano stati soprattutto i ceti meno abbienti, ma solo se non si considerano i vantaggi conseguiti dal punto di vista della salute. In Italia, dopo aver posto alcuni opportuni divieti, lo Stato ha pensato d’influire sulla diminuzione dei consumi ponendo frasi e immagini inquietanti sui pacchetti di sigarette che avrebbero dovuto avere effetti dissuasivi, come invece non è avvenuto.

In realtà, si sono voluti evitare interventi più risolutivi per non compromettere un gettito d’imposte di circa 15 miliardi di euro l’anno. Anche il settore dei giochi e delle scommesse si presta a riflessioni analoghe. Secondo recenti statistiche, circa 2 milioni di cittadini sono afflitti da «gioco compulsivo»; sono, cioè, dipendenti dal gioco, così come accade per la droga e l’alcool.

Lo Stato, anche in questo caso, si è limitato ad obbligare le società che operano in questo settore a dichiarare: «Il gioco è precluso ai giovani sotto i 18 anni e danneggia la salute provocando assuefazione». Sorprende, peraltro, che queste frasi vengano pronunciate volta per volta ad una velocità tale da renderle quasi incomprensibili. Anche in questo caso, qualche malizioso sospetto pare legittimo, visto che dal complesso del mondo dei giochi, compresi quelli online in continuo aumento, lo Stato introita circa 18 miliardi di euro l’anno di imposte. Opportuno, in tal senso, quanto concretamente fatto dall’Amministrazione di Bergamo, che ha imposto precise regole alle sale giochi, fra cui dovute distanze da luoghi sensibili, rigorosi limiti di orario e sanzioni certe per i trasgressori del regolamento comunale. Un’ottima scelta, avallata peraltro da una favorevole sentenza del Tar, secondo la quale un sindaco può anche procedere alla sospensione dell’attività in caso di recidive.

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