Il distacco dalla scienza
Superstizioni di ritorno

Ai tempi del Re Sole era convinzione comune che i dolori della gotta, disturbo collaterale dei ricchi ipernutriti, potessero essere alleviati solo attraverso il sangue spremuto dal cuore di certi canarini, lasciato colare sul male come un liquore dai poteri prodigiosi. A quell’epoca erano già vivi e attivi Pascal, Spinoza e Cartesio, ma quel tipo di credulità, che anche la medicina di allora accettava come indiscusso bagaglio professionale, costituiva un sapere a metà strada fra alchimia e scienza che ancora aveva confini imprecisati.

Si stava ancora con un piede in quel mondo in cui la girandola celeste dei pianeti era ritenuta responsabile degli umori umani e la pratica del salasso la risposta spesso fatale per tutti i mali: quel mondo su cui il Manzoni ha esercitato la sua ironia disegnando la figura di don Ferrante che, non considerando il contagio un fatto reale e la peste frutto della congiunzione fra Giove e Saturno, evitava con spavalda ingenuità ogni precauzione contro la malattia che lo avrebbe fatto morire. Era un tempo di credenze diffuse, che non circolavano senza anche accreditarsi con spiegazioni ritenute ragionevoli, attinte da saperi alternativi, sapienze ufficiose e segrete, note a certi iniziati e ritenute verità nascoste ma riportate alla luce da pochi illuminati. Non era semplice magia. Non era ancora scienza. Era una via di mezzo nella quale ipotesi fantasiose diventavano verità comuni se ammantate da dignità parascientifiche.

Mi viene istintivamente da pensare a questi tempi, creduti ormai estinti, quanto seguo con interesse il progredire dell’impressionante dilagare del sospetto contro le pratiche della vaccinazione, o fenomeni consimili, ormai militanti e organizzati, che si attivano attorno alle questioni della salute, della cura, del conflitto fra natura e medicina, conflitto che va assumendo ormai nel senso comune una connotazione parareligiosa.

Mi vengono in mente quei tempi perché molte di quelle vicende sembrano svelare il ritorno, se non la persistenza, di un pensiero della superstizione proprio nel pieno della nostra cultura secolare e scientifica, disincantata e medicalizzata. Si percepisce il radicarsi di una nuova credulità, che si forma e si diffonde in modi diversi da un tempo, ma con identica capacità di persuasione collettiva, in alternativa ai saperi ufficiali, percepiti come dogmatici e contigui a quel dominio occulto della vita di cui si nutrono le narrazioni del complottismo globale. La superstizione è tornata e ha la forma di convinzioni documentate.

Le prodigiose possibilità di accesso alle informazioni, che oggi sono pressoché illimitate, non hanno fatto crescere il senso critico, ma hanno aperto il mercato delle dicerie e amplificato lo spazio dell’inverificabile, oltre che predisposto il piedistallo di un diffuso senso di autocompetenza. Si consulta la rete con la stessa convinzione e le stesse attese con cui secoli fa si scrutavano le stelle o si interrogavano gli oracoli, traendone convinzioni che si accreditano dal loro passaggio di bocca in bocca, oltre che dal loro progressivo montare mediatico, che ha il potere di trasformare ogni cosa in una contesa ideologica tra parti per definizione equivalenti. Sento anche che, a sua volta, questo sorprendente ritorno della credulità, ancorché in questa apparenza di convinzione edotta e informata, va capito nella cornice di almeno altri due fenomeni che connotano oggi la nostra vita sociale. Uno sta certamente nel fatto che nella città secolare e agnostica, che si è congedata dalla trascendenza delle confessioni tradizionali, lo spazio dello spirituale assume oggi come suo principale vettore di espressione la ricerca di un benessere del corpo e della mente che rende ogni tema legato alla salute un fatto dalla portata parareligiosa. La dimensione spirituale è tutt’altro che estinta nella nostra vita sociale. Ha piuttosto assunto connotazioni più vicine all’equilibrio psicofisico a cui provvede già da tempo tutto un mercato che qualcuno ha già imparato a chiamare «terziario spirituale», fatto di estetiche per l’identità riconciliata, luoghi dello spirito col loro turismo antistress, cultura di intrattenimento con la sua pensosità per tutti, pratiche sportive finalizzate all’autodominio, regimi alimentari che sembrano vie filosofiche, predilezioni medicali che sconfinano nella teosofia. Discipline interiori e esteriori per una salvezza immanente che ha nell’unione psicofisica il campo di battaglia fra il bene il male. In questa nuova spiritualità secolare, estetizzata con cura e commercializzata con efficacia, il parareligioso e il parascientifico convolano per istinto in un spazio di amorosi sensi.

Proprio in questo spazio prende forma un secondo fenomeno. Si tratta di un nuovo imprevedibile distacco fra senso comune e saperi critici, fra una sorta di autocompetenza popolare cresciuta all’ombra della comunicazione totale del nostro tempo e l’autorità scientifica delle competenze proprie delle specifiche discipline del sapere. Si va scavando un fossato di diffidenza della cultura popolare nei confronti dei saperi scientifici, considerati inaffidabili proprio per essere ufficiali.

Distacco di cui anche una cultura religiosa seria dovrebbe preoccuparsi molto. Si tratta di un non riconoscimento di autorità critiche e scientifiche, spesso manifestato con alacrità e risentimento, che si eleva a vantaggio di presunte verità nascoste, di autorità alternative, in una forma di confronto in cui diventa impossibile dirimere realmente l’oggettività dei fatti e in cui la verità delle cose diventa un fatto di scelta di campo. In questa frattura si crea lo spazio per il crescere delle nuove superstizioni che non ci appaiono tali solo perché parlano la lingua di un apparente e postmoderno scientismo democratizzato. Ma sono altrettanto pericolose di quelle per le quali i don Ferrante di un tempo morivano per una cosa che credevano, prove alla mano, non esistente.

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