Il fronte anti rigore
L’Europa del Sud c’è

La novità del vertice di Atene tra i sette Paesi del Sud Europa sta nel fatto che si sono incontrati. Che il presidente francese François Hollande si sia finalmente deciso per un fronte anti-rigore segna un punto per chi, come l’Italia, considera la crescita l’unica possibilità per uscire da una crisi senza fine. Il messaggio è chiaro: anche il Mediterraneo c’è. Ad Est c’è il gruppo di Visegrad con Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, la Germania è capofila dei Paesi del Nord e adesso anche il Sud si è schierato.

Quanto sia compatto è tutto da vedere perché i francesi sono contro l’austerità, ma quando si parla di bilancio comunitario al quale demandare una parte di sovranità, ecco che Parigi ammutolisce. La Francia non ha mai rinunciato all’Europa delle patrie di De Gaulle ed ha affossato con il referendum del 2005 la nuova Costituzione europea. Esattamente 51 anni dopo la bocciatura nel lontano agosto 1954 della Comunità europea di difesa (Ced) il vero e primo progetto di un comune esercito europeo.

E tuttavia al prossimo vertice europeo di Bratislava Angela Merkel dovrà tenere conto di un nuovo schieramento in grado di opporsi alle scelte della Germania e dei Paesi della sua area di influenza. A Berlino hanno capito e hanno rilasciato dichiarazioni di disappunto. Questo non impedirà la politica di tagli e cuci finora seguita dal governo tedesco continui. Di fatto il rigore del Patto di stabilità ovvero Fiscal compact è già stato archiviato a Bruxelles con l’approvazione di Berlino.

Alla Francia è permesso di sfondare sul deficit per altri due anni, a Spagna e Portogallo non è stata comminata alcuna sanzione per non aver rispettato il programma concordato e con l’Italia la mano di Bruxelles sul tema flessibilità è morbida. La Commissione Juncker ha in programma l’esclusione dal Patto di stabilità delle spese sostenute per gli investimenti infrastrutturali, per la ricerca, la cultura e l’istruzione. Berlino non si oppone perché è evidente che la politica di soli tagli non ha portato ad un miglioramento significativo delle economie dei Paesi in crisi.

L’ambizione tedesca sarebbe quella di creare una politica economica europea con un ministro delle Finanze dell’Unione cui demandare la sovranità economica dei governi. Ma su questo tema molti Stati non ci sentono perché temono di doversi piegare alle esigenze dei Paesi più forti. La vera questione è che non c’è sintonia tra chi predica risparmio e tagli e chi invece intravede la soluzione in un ulteriore indebitamento al fine di far rilanciare i consumi.

Gli effetti del «quantitative easing» di Draghi non si vedono e la politica dell’acquisto di titoli di Stato dei Paesi membri della moneta unica non porta risultati perché l’enorme massa di denaro in circolazione non trova sbocco in programmi di investimento. Mario Monti che dal 2014 guida il Gruppo di alto livello sulle risorse proprie dell’Ue propone di definire progetti per i beni comuni dell’Unione per esempio, sicurezza, immigrazione, riduzione di emissioni CO2, nell’ambiente ecc. e finanziarli o con l’emissione di obbligazioni europee o con una quota delle imposte nazionali.

Potrebbe essere un buon inizio a condizione che gli Stati interessati si impegnino a loro volta in modo vincolante a far partire un piano di riforme indispensabili a rendere competitive le loro economie. Per esempio nel caso italiano con tagli alle spese improduttive (vedasi sovvenzioni a pioggia alle imprese, assistenzialismo, corruzione, lotta al dominio della criminalità organizzata su intere parti del territorio nazionale ecc.). È l’unico modo per convincere i contribuenti tedeschi a staccarsi dall’austerità e a fare da garanti per un debito condiviso.

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