Il Medio Oriente
sull’orlo del baratro

«L’Iran dev’essere punito per il suo appoggio al terrorismo». Lapidario, il tweet partito dal ministero degli Esteri dell’Arabia Saudita mentre era da poco finito l’attacco terroristico contro il Parlamento di Teheran e la città santa di Qom non lascia spazio a mediazioni. Anzi: suona come una rivendicazione. D’altra parte la linea degli eventi è ben chiara. Meno di un mese fa Muhammed bin Salman, ministro della Difesa e secondo principe ereditario dell’Arabia Saudita, era andato alla tv di Stato a minacciare di «provocare conflitti all’interno dell’Iran». Per essere sicuro di farsi capire, il principe aveva aggiunto: «Sappiamo di essere l’obiettivo del regime iraniano e dunque non resteremo a braccia conserte aspettando che la battaglia abbia luogo in Arabia Saudita. Al contrario, opereremo affinché la battaglia abbia luogo all’interno dell’Iran».

Due settimane fa Donald Trump era arrivato in Arabia Saudita a riempire di armi il regno di re Salman, in un tripudio di dichiarazioni contro l’Iran. Pochi giorni fa il Qatar, accusato di essere troppo «morbido» nei confronti degli ayatollah e delle loro strategie, era stato messo al bando. Ora gli attentati, che fanno presagire uno sviluppo ancor più fosco, perché un Paese pugnace e pieno di spirito patriottico come l’Iran vorrà certo reagire alla provocazione.

Prima di provare a capire come si è arrivati sulla soglie di una guerra che potrebbe decretare la fine del Medio Oriente come l’abbiamo finora conosciuto, però, bisogna sgombrare il campo da un’ambiguità di fondo usata a piene mani dalle rispettive propagande. Quando i sauditi, gli americani e gli israeliani, per fare qualche esempio, accusano l’Iran di praticare o fomentare il terrorismo, dicono il vero. L’Iran appoggia Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina, addestra le milizie sciite che in Iraq sono accusate di aver provocato migliaia di desaparecidos tra i civili sunniti, sostiene i ribelli Houthi nello Yemen. A prescindere dalle cause politiche e dalle eventuali ragioni ideali, si tratta di soggetti che vanno ben poco per il sottile, quando si tratta di combattere. Ma lo stesso si può dire per tutti gli altri protagonisti di questa crisi. Il Qatar in effetti sostiene i Fratelli Musulmani che, in questa o quella delle loro sembianze, praticano il terrorismo in Egitto e in Siria. L’Arabia Saudita, che accusa Iran e Qatar, arma e sostiene i terroristi dell’Isis e il suo esercito compie ai danni dei civili yemeniti azioni che non sono militari ma terroristiche.

Se tutti sostengono o praticano il terrorismo, è chiaro che non è il terrorismo la ragione per cui ci troviamo sull’orlo dell’ennesima guerra. Il problema infatti è ben altro. Per tredici secoli gli sciiti, che sono tra il 10 e il 15 per cento dei musulmani del Medio Oriente, hanno fatto la parte della minoranza emarginata e spesso perseguitata. Da quando, cioè, nel 680 l’assassinio di Hussein, figlio di Alì che era stato il genero di Maometto, pose fine alla pretesa di arrivare alla guida dell’islam non per via politica ma per discendenza familiare e trasformò gli sciiti (shi’a Alì, il partito di Alì) nella parte debole e negletta della comunità.

Solo in anni molto recenti la bilancia si è riassestata, con l’arrivo degli Assad (sciiti alawiti) al potere in Siria, dell’ayatollah Khomeini in Iran, dell’Hezbollah in Libano, con la caduta di Saddam Hussein in Iraq (che ha spalancato le porte al predominio degli sciiti e al controllo da parte di Teheran) e con la rinnovata coscienza politico-religiosa degli Houthi nello Yemen. Un processo che ha anche dato forza agli sciiti che vivono nei Paesi sunniti del Golfo Persico: minoranza di non poco conto (circa il 15 per cento della popolazione) come in Arabia Saudita, o maggioranza sottomessa a un’autocrazia sunnita come in Bahrein.

Tutto questo ha fatto saltare i nervi ai sunniti e in particolare ai sauditi, che si sono imbarcati in una serie di avventure (il sostegno ai terroristi in Siria, l’invasione dello Yemen…) sempre più aggressive e fallimentari. Purtroppo i Paesi occidentali, in primo luogo gli Usa con Barack Obama e ancor più con Donald Trump, si sono assurdamente sbilanciati a favore del radicalismo wahabita dei sauditi. Così che oggi, in queste avvisaglie di guerra, dobbiamo mettere in preventivo di essere coinvolti nello scontro. Sia in Medio Oriente sia altrove.

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