Il presepe di Rubens
e la Messa negata

A chi può far problema se una scuola, che si chiama Ente Cattolico per la Formazione Professionale, propone una messa come gesto di Natale? Evidentemente a nessuno, visto che chi si è iscritto a quella scuola ne dovrebbe ovviamente conoscere il nome e identità: ogni mattina entrando si imbatte infatti in una grande statua della Madonna. Inoltre la «proposta» è qualcosa di molto diverso da un obbligo. Eppure per il secondo anno consecutivo il preside di questo istituto monzese ha avvisato personale e insegnanti che «la messa non verrà svolta, per non discriminare gli studenti di altre fedi».

Al posto del rito liturgico, ci sarà un momento di «riflessione e preghiera, con canti e proiezioni di immagini». È una di quelle notizie ai confini con l’inverosimile, che sembrano fatte apposta per dar fuoco alle polveri e alimentare i soliti teatrini da talk show. Ma ormai da troppo tempo e per troppe volte il Natale viene usato come una bomba mediatica a orologeria, per non pensare che dietro non ci sia un calcolo un po’ maligno. Quest’anno poi, complice l’onda lunga dei fatti di Parigi, la presunta guerra dei presepi ha dato luogo a una quantità inattesa, per non dire spropositata di conflitti diffusi.

La vicenda monzese è talmente paradossale da svelare i meccanismi che stanno dietro questo «calcolo» che fa esplodere ogni volta le polemiche natalizie. Il meccanismo principe è la pretestuosità: se si scava nei singoli episodi non si trovano mai situazioni che possano rendere ragione di scelte che tanto fanno discutere. Sono scelte fatte a prescindere, secondo una logica immaginaria che riversa dentro la scuola tensioni o conflitti che sarebbero nell’aria; o meglio, che sono soprattutto nella testa di chi prende decisioni come quelle di vietare un presepe o evitare una messa.

Non si può neanche pensare che queste siano decisioni prese per conquistarsi un po’ di sicura visibilità, visto che il preside dell’istituto di Monza lo scorso anno aveva fatto lo stesso senza che nessuno avesse sollevato un caso mediatico. Mentre quello della scuola media di Rozzano ha pagato con le dimissioni la strana indicazione di soprassedere sui festeggiamenti del Natale. E a metterlo nell’angolino sono state, tra le altre, proprio alcune famiglie di musulmani che hanno ritenuto ingiusta quella sua decisione. C’è quindi un qualcosa di sottilmente patologico in tutte queste dinamiche. Un voler essere più realisti del re, che alla fine semina guasti e accende discordie, proprio sostenendo di volerle disinnescare. È una posizione patologica che non accetta la natura profondamente e irriducibilmente pacifica del Natale. Quella natura che ha fatto dire, ad esempio, all’imam padovano, Kamel Layachi, che per lui accettare il Natale «non è soltanto questione di rispetto verso la diversità. Quando parlo di Gesù io mi emoziono, mi è caro quanto il Profeta Muhammad».

È quella stessa natura intimamente pacifica che ha fatto sì che un sindaco, proveniente dalla sinistra di Sel come Giuliano Pisapia, abbia tranquillamente accolto a Palazzo Marino un capolavoro di Peter Paul Rubens con un magnifico e, oserei dire, persino «clamoroso» presepe: un quadro che viene offerto gratuitamente alla cittadinanza come segno natalizio. Inoltre in questi giorni i manifesti di questa esposizione accendono i muri della città, senza che nessuno si sia sentito minimamente offeso.

Il Natale è una festa carica di positività. È una festa che viene incontro a tutti, sia che si creda sia che non si creda. Una festa che non lede la libertà di nessuno. Del resto come si fa a pensare che il bambino nella culla possa essere vissuto da qualcuno come un problema o come una discriminazione?

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