Il Sinodo dei giovani
La Chiesa cambia

Il Sinodo sui giovani è cominciato ieri. Ma è già chiaro che non si discuterà di giovani come categoria da riconquistare. Le parole del Papa nell’omelia della Messa di apertura e poi nel pomeriggio in aula hanno indicato chiaramente la strada che deve prendere il Sinodo e di cosa si dovrà discutere. Più che un Sinodo sui giovani sarà un Sinodo sulla Chiesa, perché i giovani non si accontentano di una Chiesa dalle mezze misure e ne sognano una radicalmente cristiana, che non ha paura di tenere in mano il Vangelo. C’è insomma una Chiesa che manca e il Sinodo può aiutare a ritrovarla. È questa la posta in gioco. Non dovrà tanto occuparsi di quali giovani vanno bene per la Chiesa, ma esattamente il contrario e cioè domandarsi su cosa la Chiesa ha inciampato per essere oggi così lontana dalle giovani generazioni. Bergoglio ha indicato con perfetta chiarezza la strada sulla quale il Sinodo deve incamminarsi. Ha detto che occorre cambiare ciò che ci paralizza.

Ed è tornato a proporre il ragionamento sul clericalismo che fa da cinque anni, ma che evidentemente ancora suona strano. Così ogni volta alza il tono e ieri lo ha definito una «perversione radice di tanti mali». Ha chiesto di uscire dagli «stereotipi» e precisato che un Sinodo non serve per fare documenti che pochi leggono e molti criticano. Bergoglio ha posto la questione delle questioni: va cambiato ciò che blocca e atrofizza. E quando la Chiesa è paralizzata vuol dire che non è più grado di camminare accanto alle donne, agli uomini, ai bambini, ai giovani dentro la Storia.

Una Chiesa paralizzata tradisce il Vangelo, perché lo nasconde, perché non ne libera le parole. Una Chiesa paralizzata sa dire solo cosa si deve o non si deve fare. Una Chiesa paralizzata non è amica di nessuno. Una Chiesa paralizzata si difende, non ascolta e impone. Una Chiesa paralizzata considera i fedeli destinatari passivi del culto e di lunghe prediche. Il Papa invece ha invitato a mettere da parte «pregiudizi» e a stimolare speranza, fiducia, a «fasciare ferite», a «intrecciare relazioni». Il Sinodo aperto ieri a cinque anni dall’inizio del Pontificato e dalla pubblicazione dell’ «Evangelii gaudium» di cui ne è il manifesto, è una tappa cruciale nel processo di rinnovamento sulla scia del Concilio. Non è un caso infatti che proprio nel bel mezzo del Sinodo Bergoglio abbia voluto la canonizzazione di Paolo VI e di Oscar Arnulfo Romero, il Papa che ha guidato il Concilio dopo l’intuizione di Roncalli e il vescovo che è stato ucciso sull’altare di una Chiesa dalla parte dei poveri e degli oppressi, secondo le indicazioni del Concilio. Visione e profezia sono state la guida per Montini e per Romero. E visione e profezia sono le parole chiave del Sinodo. I giovani diventano la misura della capacità della Chiesa di parlare al mondo. Oggi sono ai margini quasi dappertutto. Nessuno li interpella sul futuro, pochissimi investono in formazione, perché è meglio avere giovani disabituati al confronto analitico dei problemi, così che i tribuni del popolo possano giocare tranquilli la partita. Solo la Chiesa ha osato interpellarli. Loro hanno risposto mettendola in imbarazzo, spiegando che non se ne sono andati, ma che semplicemente a loro parere la Chiesa sta in un altro mondo, non il loro. Se avessero sbattuto la porta sarebbe stato forse tutto più facile. Il Papa ieri ha parlato di Chiesa «in debito di ascolto», «chiusa alle novità» e alle «sorprese di Dio». È un discorso duro, perfino spietato. Il cardinale brasiliano Sergio Da Rocha, relatore generale del Sinodo ha riconosciuto che le inquietudini dei giovani hanno messo in discussione la prassi della Chiesa. È accaduto in passato e speriamo accada anche in futuro. Ma deve assumersi il rischio e non dire più – ha sottolineato il Papa ancora una volta – «si è sempre fatto così». Bergoglio ha chiesto al Sinodo uno sforzo per rendere il Vangelo più affascinante per tutti e la Chiesa più coerente nella testimonianza. Ma va fatto in fretta, perché i giovani non possono più aspettare, ha lasciato capire il Papa, perché solo la Chiesa può lottare con loro contro i «mercanti della morte», che oscurano visioni, frantumano sogni e prescrivono ai giovani l’identità debole, che li fa incerti e non più appassionati di ogni ricerca. Compresa quella di Dio.

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