Illusoria la ripresa
fondata sul debito

L’Istat ha confermato il dato della crescita del Pil italiano nel terzo trimestre di quest’anno: più 0,2; ossia meno di quanto si ebbe nei primi due trimestri. Stupido consolarsi collegando il rallentamento con il terrorismo: quanto accaduto a Parigi il 13 novembre è avvenimento del quarto trimestre e se ne potranno valutare le ripercussioni sui consumi e gli investimenti quando conosceremo i dati del primo trimestre 2016, cioè fra non meno di quattro mesi.

La realtà è che la minore cadenza di crescita di cui si tratta è una caratteristica condivisa anche con altri Paesi e dipende sia dall’andamento dell’economia mondiale, con i Paesi emergenti in retromarcia, sia, e forse soprattutto, dal fatto che manca la condizione di una vera innovazione, che agisca come stimolo per nuovi investimenti su ampia scala e costituisca un vantaggio competitivo per chi sappia prontamente applicarla.

La stessa implementazione tecnologica digitale-informatica, che pure ha e avrà ripercussioni rilevanti sull’occupazione e sull’utilizzo delle risorse umane, non è una novità. Causerà obsolescenza di investimenti passati ed esigenza di nuovi, ma non aumenterà l’occupazione complessiva in proporzione alta; anzi, in alcuni campi dei servizi, per esempio nelle banche, e del commercio, sempre più con vendite on line, la ridurrà.

Pertanto, il contesto non è favorevole a una crescita economica robusta dell’economia mondiale. E quando si aumenta il reddito tra l’1 e il 2 per cento all’anno, la congiuntura economica permane fragile. Soprattutto nei Paesi, come l’Italia, esposti ai possibili contraccolpi delle correzione di anomalie, come la remunerazione del risparmio monetario, e avvantaggiati da prezzi delle fonti di energia e delle materie prime alquanto bassi, che però in quanto a livelli «non normali» frenano la domanda complessiva dei Paesi produttori. E ormai l’economia è globale.

Il terrorismo e l’instabilità geo-politica possono essere condizioni di altra fragilità nella crescita economica mondiale. La lotta contro il primo, che se vittoriosa porterà pure a situazioni più distese nello scacchiere geo-politico, non sarà però breve.

Se la cornice del quadro è quella indicata, chiudere l’anno con una crescita allo 0,9%, o anche a un decimale in meno, sarà per l’Italia un buon risultato. Anziché pensare a future ripercussioni negative per il terrorismo, chiediamoci quanto il successo dell’Expo abbia influito sul risultato economico del 2015 e quanto possa pesare, l’anno prossimo, il pieno successo dell’Anno Santo straordinario. Ma si tratta di fattori non strutturali. Non possiamo, a motivo di essi, illuderci che i nostri problemi saranno risolti. L’antica favola della formica e della cicala dovrebbe essere presente nella nostra mente. Bisognerà pensare che la remunerazione nulla del risparmio monetario non potrà durare per anni, e quindi l’onere per interessi del debito pubblico tornerà molto gravoso, se non sapremo ridurre la consistenza dei titoli statali in circolazione. Bisognerà pure attendersi che i prezzi del petrolio e delle altre materie prime, di cui come Paese siamo tributari, torneranno a crescere. Bisognerà rendersi conto che la ripresa economica -fondata sull’effetto leva, ossia sul ricorso al debito- è illusoria. Sarà invece un errore pensare solo alle prossime elezioni politiche generali.

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