La crisi di Mps
Scenario europeo

Il percorso di salvataggio di Mps dovrà passare per le forche caudine della conversione delle obbligazioni subordinate e, in caso di insuccesso dell’aumento di capitale, è stata evocata l’eventualità del bail in, ossia del coinvolgimento dei depositi di taglio medio grande nella liquidazione. La crisi della banca senese si colloca nello scenario di perdurante difficoltà dell’intero sistema creditizio nazionale, ma non bisogna confondere il caso specifico con la situazione del settore nel suo complesso.

Il Monte, la più antica banca del mondo, radica la sua crisi in anni non più recenti, prima della crisi finanziaria globale. Erogazione del credito non accorta, per usare un eufemismo, e una strategia di crescita troppo aggressiva e intempestiva ne hanno minato la tradizionale solidità. Ripetuti aumenti di capitale non sono valsi a rimettere in sesto l’azienda anche a motivo della crescente severità della vigilanza europea nella valutazione dei crediti e nell’imporre requisiti patrimoniali.

Il nuovo piano, sicuramente ambizioso, si basa su un mix di azioni di ristrutturazione e di rilancio commerciale, facendo leva sull’ampia base di clientela, ma abbisogna di un robusto apporto di capitale di rischio.

Marco Morelli, il nuovo amministratore delegato, sta letteralmente girando il mondo alla ricerca di investitori disposti a impegnarsi per il rilancio della banca. Gli interlocutori interessati non mancano, ma hanno richiesto che concorrano anche i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate, quelle un po’ più rischiose e un po’ più remunerative. Questi dovrebbero accogliere la proposta di vendere i titoli al prezzo pari o inferiore al nominale e al contempo destinare il ricavato all’acquisto di nuove azioni. È bene sottolineare che questo non riguarda né i titolari di obbligazioni ordinarie né tantomeno i depositanti.

Ma Mps non rappresenta il sistema bancario italiano, che è sì fiaccato da 8 anni di crisi finanziaria e reale, ma sicuramente non sta sull’orlo del baratro. Servono capitali freschi, per fronteggiare la svalutazione dei crediti deteriorati, serve una solida ripresa per tornare a fare prestiti sani, serve una ristrutturazione soprattutto della rete distributiva per ridurre i costi operativi, serve infine individuare un nuovo modello di business che renda le nostre banche meno dipendenti dal margine di interesse che la politica dei tassi zero ha drammaticamente eroso.

Siamo nel pieno di una trasformazione strutturale del settore, fase che hanno attraversato anche altri comparti in passato. Da queste fasi si esce, a prezzo di sacrifici in termini occupazionali e di valore delle imprese, adattando le aziende al nuovo scenario trasformato dalla crisi, dall’avvento della normativa europea, molto più rigorosa in termini di gestione dei processi di crisi e meno attenta alle esigenze dei risparmiatori e delle piccole e medie imprese.

Sono trasformazioni radicali, difficili da metabolizzare rapidamente, che le banche si trovano a fronteggiare contemporaneamente. È comprensibile quindi che non ci sia una chiara visibilità delle prospettive delle singole aziende di credito e l’andamento dei prezzi di borsa riflette, magari amplificandole, queste incertezze.

La tutela del risparmiatore depositante è affidata oggi alle autorità europee, ma manca ancora un pilastro importante, il fondo di indennizzo europeo. Così, eventuali situazioni problematiche dovranno ancora essere sopportare solo dal nostro Paese. Questo è un dossier per cui varrebbe la pena di batteri i pugni in Europa.

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