La diffidenza tedesca
nuoce all’Europa

A Bruxelles si riuniscono i 27 per la prima volta senza i britannici e tutti sono per l’unanimità nel sostenere una veloce definizione del Brexit. Poi si va a leggere tra le pieghe dei discorsi di Angela Merkel e si scopre che il compromesso raggiunto con Londra è che il primo ministro David Cameron si dimetterà a settembre e non a ottobre. Un mese di sconto e due e rotti di attesa. La velocità europea è sempre a scartamento ridotto. La vera lotta è dietro le quinte e si svolge tra chi vorrebbe dare maggior peso alla Commissione e chi invece insiste sul potere del Consiglio europeo.

La decisione di Jean Claude Juncker di dar corso al Trattato di libero scambio con il Canada denominato Ceta senza farlo approvare dai singoli parlamenti nazionali ha scatenato un’ ondata di proteste. L’accusa è di voler aggirare la volontà popolare e quindi di rendere ancor più impopolare la Commissione da più parti accusata di essere burocratica e non trasparente. In questa critica la voce della Germania si esprime attraverso le parole di Sigmar Gabriel , ministro dell’economia che ben conosce la sua base elettorale e sa che il famigerato Ttip con gli Stati Uniti verrebbe di fatto affossato da un tale comportamento verticistico.

L’opinione pubblica in Germania è contro gli accordi di libero scambio perchè di fatto avvantaggerebbero le grandi multinazionali a scapito dei diritti dei consumatori. Intenzioni nobili che però fanno il gioco di chi punta sul ritorno degli Stati come primattori della politica europea post Brexit.

L’incontro di lunedì scorso a Berlino tra Merkel, Hollande e Renzi è la conferma che si vuol continuare sulla scia della concertazione tra Stati in preparazione dei vertici del Consiglio Europeo. Le critiche della Polonia non sono tardate perchè Varsavia non intende farsi dettare la linea da un trio che la vede esclusa. A Berlino lo sanno e modulano di volta in volta gli incontri alla cancelleria con la partecipazione dei possibili recalcitranti.

Con Renzi è stato così, ha protestato e alla prima occasione è stato cooptato nel direttorio del momento. La strategia tedesca è chiara : le carte le distribuisce Berlino. A coloro che richiedono l’assunzione della leadership la Signora Merkel risponde con l’affermazione degli interessi tedeschi.

In questi giorni il ministero delle finanze tedesco sta approntando una sorta di memorandum per la gestione del post Brexit. Si insiste su la digitalizzazione delle imprese e della pubblica amministrazione ed al contempo si reclamizza il progetto di Industrie 4.0 che vede le imprese tedesche in primo piano nella formulazione di un progetto di avanzamento tecnologico nel settore delle applicazioni industriali. Come dire un conflitto di interessi.

Certo non è una colpa ma un merito averci pensato per tempo e trovarsi quindi in posizione dominante ma è proprio questo che suscita l’irritazione dei cittadini europei . Questo gabellare interessi comuni e trarne interessi privati , in questo caso nazionali è il male profondo di questa Europa. Chi si assume la responsabilità di guidare deve anche offrire non solo guadagnare.

La Germania di Angela Merkel sembra non averlo ancora capito. E’ notorio che le diseguaglianze economiche tra Nord e Sud Europa comportano politiche di rilancio soprattutto negli investimenti. Senso avrebbe per esempio conteggiare gli investimenti pubblici incrementali e detrazioni fiscali per quelli privati al di fuori dei vincoli del Patto di Stabilità. Una concessione sensata che però i tedeschi avversano. Motivo: non si fidano, temono che poi si apra una falla nelle politiche di risparmio. E’ questa diffidenza la madre dei mali europei.

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