La Ferrari in Borsa
Rinascimento italiano

Solo una Ferrari può giungere al traguardo con un buon piazzamento dopo una sosta prolungata ai box e la penalizzazione di due giri.
È quel che è successo con l’operazione «Race». Così Sergio Marchionne aveva ribattezzato la quotazione in Borsa del Cavallino rampante, prima a New York e ora a Milano. Ieri la Rossa ha affrontato Piazza Affari, in una coreografia rutilante in cui è stata esposta tutta la gamma dei modelli di Maranello, in una delle giornate finanziarie peggiori degli ultimi anni, con le Borse di tutto il mondo penalizzate dall’effetto Cina.

Una gara in controtendenza, che ha toccato la sospensione per eccesso di ribasso e alla fine ha visto giungere la casa fondata dal «Drake» al traguardo, riavvicinandosi ai 44 euro della chiusura di Wall Street del 31 dicembre, valorizzando così l’intera società 8,17 miliardi di euro. Gli analisti avevano stimato tutto il gruppo del Cavallino in dodici miliardi di euro, ma stimare la Ferrari è come stimare un’opera d’arte o un’auto d’epoca di inestimabile bellezza: nessun analista ci riuscirebbe con esattezza, difficile stimare con gli strumenti della matematica il mito.

Ha frenato invece Fca, ovvero la nuova Fiat-Chrysler-Automobiles, cui faceva capo, prima dello scorporo, l’80 per cento del capitale del Cavallino. Per la prima volta infatti la Fca tratta nei mercati finanziari sgravata degli asset della Casa di Maranello.

«Competere sul listino di Milano per la Ferrari è come tornare alle origini», ha commentato a Palazzo Mezzanotte il premier Matteo Renzi, che con Marchionne ha sempre avuto un feeling, a cominciare dal Jobs Act lodato infinite volte dal manager e messo in pratica nello stabilimento di Melfi attraverso migliaia di assunzioni. Il premier ha anche rivendicato «i risultati eccezionali» di Borsa Italiana, che ha chiuso un 2015 con un più 13,2 per cento: «Una straordinaria occasione per gli investitori, per chi crede che la bellezza si coniughi all’innovazione e all’ingegneria».

Al di là dei discorsi (non privi di qualche accenno di retorica) e delle esortazioni del duo Renzi-Marchionne, la quotazione in borsa di Ferrari – entrata di diritto nelle «blue chips», i titoli di maggior prestigio – giunge in un momento d’oro per l’industria automobilistica italiana, tradizionalmente considerata il termometro dell’economia. Il mercato italiano chiude con un milione e mezzo di immatricolazioni, con una crescita del 15,7 per cento rispetto allo scorso anno. Un numero davvero sorprendente se si pensa che in gennaio l’industria automobilistica veniva considerata ancora in crisi.

E il bello è che il mercato continua a crescere con il record di oltre centomila consegne del dicembre appena passato. La Fca è certamente l’industria automobilistica più sorprendente, se si pensa che ha chiuso il 2015 con quasi mezzo milione di immatricolazioni. E il bello è che la casa del Lingotto (ma la si può ancora chiamare così?) prevede di crescere di un ulteriore cinque per cento. In questo senso, la quotazione in borsa di Ferrari è il suggello di un nuovo splendido rinascimento italiano dell’auto, con nuovi modelli (si attende la nuova Giulia prodotta a Cassino) e buone prospettive anche sul piano dell’occupazione e dell’indotto. Un periodo che potrebbe avere la sua ciliegina sulla torta non solo con il ritorno sul podio della Formula Uno (Marchionne ha assicurato di aver provveduto ai necessari investimenti per la stagione che sta per aprirsi), ma addirittura con il ritorno sulle piste del leggendario marchio dell’Alfa Romeo. Un sogno? Forse sì, forse no. Ma per il momento è lecito sognare. Rigorosamente in rosso.

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