La Finanza attaccata
dai cyber rapinatori

Fino a non molto tempo fa lo spauracchio delle banche erano le rapine ma la criminalità si è evoluta allo stesso ritmo delle tecnologie informatiche: e così il nuovo incubo delle aziende del credito sono diventate le frodi informatiche.
Ieri il gigante bancario Unicredit ne ha rivelata una colossale a suo danno, per fortuna senza troppe conseguenze: la violazione dei dati di 400 mila clienti italiani, prodotta attraverso un partner commerciale esterno.

In questo caso sarebbero stati acquisiti i dati anagrafici e gli iban dei clienti (ovviamente già tutti cambiati prima della comunicazione). Un’operazione criminale non di poco conto, che segna oltretutto un passo avanti nelle frodi informatiche poiché raggiunge direttamente i clienti.

Subire una frode digitale bancaria è un po’ come se qualcuno ci avesse preso il portafoglio, avesse visto quanti soldi teniamo dentro e poi ce lo avesse rimesso in tasca. Certo il denaro è ancora in nostro possesso, ma scopriamo anche che qualcuno può accedere con facilità al nostro portafoglio, al nostro conto corrente, al nostro deposito titoli e un domani portarci via tutto perché l’acquisizione dei dati non può che essere finalizzato a una cosa sola. Questo genere di intrusioni si stanno moltiplicando in maniera esponenziale. Lo stesso istituto parla di un tentativo nel 2016 e si sa di una banca italiana «hackerata» nel 2015.

È naturalmente un trend a livello globale che come detto si estende allo stesso ritmo dell’home banking. Diversi furti di dati, preziosi come il denaro, o quasi, si sono registrati un po’ in tutto il mondo e gli istituti di contrasto specializzati in questo tipo di guerra digitale ci dicono che sono aumentati del 64 per cento. Sempre meno rapine e sempre più cyberattacchi: si punta a entrare nei sistemi violando le password, a scoprire saldi e movimenti in modo da determinare le capacità finanziarie di possibili obiettivi, addirittura a trasferire titoli.

Ma le organizzazioni criminali puntano addirittura a rubare o a creare la moneta elettronica che molti istituti finanziari o del credito utilizzano per le loro operazioni, perfettamente spendibili e fruibili, come i bitcoin o altre criptomonete, che permettono di effettuare pagamenti on line. Inutile dire che questo genere di criminalità, nonostante sia meno cruenta delle rapine o dei furti nei caveau, rappresenta un danno enorme per le aziende del credito.

Pensiamo ai danni di immagine, ovvero al timore dei clienti di veder finire i loro dati o i loro risparmi nelle mani invisibili di hacker, criminali e frodatori di vario genere. E infatti gli istituti si stanno attrezzando da tempo per combattere questa vera e propria guerra. La finanza spende tre volte di più degli altri settori per la sicurezza informatica. E la stessa Unicredit ha annunciato un piano di ben 2,3 miliardi di euro per rafforzare e proteggere i sistemi informatici. Del resto l’unica risposta al diffondersi dei cyberattacchi è quella di rispondere rafforzando la «cybersecurity», magari a cominciare da noi stessi (cambiando le password, evitando siti poco conosciuti per i pagamenti, controllando che la nostra banca utilizzi adeguati sistemi di protezione). Non ci sono altri sistemi per difenderci da questa guerra invisibile: mettere i nostri soldi nel materasso non è una grande idea.

© RIPRODUZIONE RISERVATA