La Germania cerca
le imprese italiane

L’iper ammortamento per il piano Industria 4.0 viene prorogato al 2018. Le misure del governo che favoriscono gli investimenti per innovazione e competitività hanno portato già a risultati di rilievo. Le aziende investono e quindi favoriscono un processo di ripresa con il risultato che molte imprese dislocate all’estero hanno cominciato a ritornare in patria. Il processo di digitalizzazione e di «internet of things» (internet delle cose) ha favorito una riduzione delle spese e quindi reso inutile la ricerca di bassi costi di manodopera.

Si andava in Romania o in Cina perché da quelle parti i salari sono bassi, adesso la tendenza si sta invertendo. È un buon segno perché finalmente si finisce di giocare al ribasso e si affrontano le sfide della competitività con l’unica arma che hanno i Paesi industrializzati: la ricerca e lo sviluppo scientifico.

È un processo che la Germania ha già vissuto alla fine degli Anni Novanta quando le grandi imprese delocalizzavano per ridurre i costi . Poi le aziende si sono riprese dallo shock e con la riduzione delle prestazioni dello stato sociale e una maggiore flessibilità lavorativa hanno cominciato a investire nelle nuove tecnologie. Ciò che sta accadendo ora in Italia, la Germania l’ha già vissuto. Ed è questo il motivo che fa del Paese di Bosch, Siemens, Bayer, Basf, ecc., l’epicentro della rivoluzione in atto nell’Europa produttiva. È qui che è nata Industria 4.0. La tecnologia non ha patria ma ha bisogno di una guida che sappia renderla appetibile. I tedeschi si sono fatti carico di questo impegno. Non per altruismo, ma perché ne hanno bisogno. La grande industria tedesca è così integrata con il mercato europeo da rendere impossibile uno sviluppo nazionale senza il coinvolgimento delle economie degli altri Stati. Se un’azienda che produce bulloni ed è situata in Italia non si modernizza, l’industria automobilistica tedesca deve andare a cercarsi un altro fornitore fuori dai confini della Ue. La cosa è possibile ma ha anche svantaggi. La valuta per prima e poi la logistica. Un conto è la Brianza, un altro Shangai. Da qui l’interesse strategico di creare in Europa un network di imprese che si muovano in sintonia con le esigenze produttive tedesche.

L’Italia è il secondo Paese manufatturiero d’Europa e quindi è qui che si concentrano le attenzioni della grande industria d’Oltralpe. La Camera di commercio italo tedesca di Milano si è fatta carico di portare la buona novella in un Paese afflitto da mille problemi ma con una rete di piccole e medie imprese che non ha confronti in Europa. Abituati ai toni di supponenza che di solito accompagnano le uscite pubbliche dei rappresentanti dei grandi gruppi industriali tedeschi colpisce la tendenza a ridimensionare il proprio ruolo a vantaggio della manifattura italiana.

Lodi per esempio ha Barilla che produce milioni di tonnellate di pasta e ha applicato una tecnologia italiana per rendere il prodotto pronto alla fornitura just in time. Insomma si è capito che presentarsi come primi della classe non paga. Un primo passo verso la normalizzazione. È evidente che la Germania da sola non gliela fa. Ideale sarebbe che lo si dicesse direttamente e quindi si evitasse la sgradevole impressione di far passare i propri interlocutori come comprimari della potenza guida.Tutti sanno che in Germania sono bravi ma nessuno dice che senza l’aiuto indispensabile dei partner europei non potrebbero esserlo. L’Europa è come l’aria: ci si accorge che è vitale solo quando c’è il rischio che venga meno. Riconoscerlo anche sul piano politico sarebbe il passo giusto per dare all’ Unione europea quello che le spetta.

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