La Germania instabile
L’ideale europeo messo a dura prova

L’azzardo dei liberali tedeschi è in linea con il desiderio di rinnovamento che figure come Emmanuel Macron in Francia, Sebastian Kurz in Austria e Matteo Renzi evocano. La rottura delle consultazioni per la formazione del governo a Berlino da parte del leader Christian Lindner avviene nel segno del dinamismo, del decisionismo, della rottura dei rituali della politica tradizionale. Caratteristiche che contraddistinguono i giovani leoni della politica continentale. Non tutti hanno avuto la stessa fortuna ma il giovane presidente dei liberali dell’Fdp con il suo quasi 11% alle elezioni ha risollevato le sorti di un partito escluso per 12 anni dal governo e dal Parlamento. Alla guida del Paese nel 2005 con il primo gabinetto di Angela Merkel, la Fdp di Guido Westerwelle è stata ridotta all’insignificanza.

Sino all’altro ieri. Quando Christian Lindner ha fatto saltare il tavolo della trattativa con la Cdu, la Csu bavarese e con i Verdi e si è presentato alla stampa con un bigliettino in mano. La frase finale è rimasta impressa nei taccuini dei giornalisti presenti: meglio non governare che governare male. Una parola d’ordine immediatamente replicata sui social e che dovrebbe essere il manifesto per la prossima campagna elettorale anticipata. La Repubblica federale vive per la prima volta in 68 anni di esistenza quello che per gli italiani è la regola: incertezza e instabilità parlamentare. Ma non ha la mutevolezza emotiva, l’elasticità e l’abitudine all’imprevisto dell’elettore italiano.

Ieri è dovuto intervenire il neo eletto presidente del Bundestag Wolfgang Schäuble per rassicurare gli animi: non è una crisi di Stato. Nei primi sondaggi demoscopici sembra che il colpo di scena preparato da Lindner trovi consenso solo tra i suoi elettori e quelli di Alternative für Deutschland. All’ambizioso leader liberale potrebbe anche andar bene se riuscisse a sottrarre voti agli estremisti di Afd che al pari del rampante politico Fdp auspicano scossoni. Si proporrebbe come forza nuova in grado di far uscire dal ghetto dell’isolamento i voti di chi adesso con gli impresentabili di Afd si sente messo nell’angolo, destinato all’ininfluenza. La novità sta qui: non si cercano voti tra i moderati ma a destra, tra chi non accetta più il ruolo di mediazione di Angela Merkel. Per adesso la maggioranza silenziosa del Paese non approva. Assieme all’industria e ai sindacati vuole un governo e lo vuole stabile.

Una cosa è certa: l’era della trattativa allo sfinimento pur di trovare un accordo, l’era Merkel per capirci, non tiene più nel Paese. Le elezioni del settembre scorso hanno creato un precedente: non solo la Cdu ha perso l’8% , che unito al 5% lasciato sul campo dalla Spd delegittima la grande coalizione, ma ha permesso la crescita di un partito alla destra dei cristiano democratici con quasi il 13% dei consensi. Insieme ai liberali con l’11% fanno quasi il 24% dei voti, più di quanto ne abbia presi la Spd. I programmi delle due formazioni politiche si avvicinano sui temi delle porte chiuse agli emigrati e della politica di austerità finanziaria da imporre in Europa. Un’alternativa sarebbe una coalizione con Cdu, Spd e Verdi. Ma i socialdemocratici hanno già dato e non vogliono versare altro sangue per rinvigorire un’esausta Angela Merkel.

Così abbiamo l’impasse. La Francia con Macron è in allarme perché il suo piano di riforme europee senza la Germania non può andare avanti. Nel frattempo Parigi diventa sede dell’Agenzia bancaria europea, mentre Milano per l’Agenzia del farmaco è beffata dal sorteggio. Brutta aria in Europa anche per chi crede nell’ideale europeo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA