La paura italiana
di fare una famiglia

Le stime che erano state prospettate, non senza preoccupazioni, a inizio anno sono oggi diventate certezze. I dati con cui l’Istat presenta il bilancio demografico del 2015 offrono l’immagine di un Paese che ha vissuto quello che potremmo definire: «l’anno dei record». E si tratta di record di cui non è detto ci si debba vantare.

Da un lato emerge la conferma di un aumento della mortalità a livelli mai raggiunti nel secondo dopoguerra (50 mila casi in più rispetto al 2014); dall’altro si registra il nuovo primato del minor numero di nascite in oltre centocinquanta anni di Unità nazionale: 486 mila (altre 17 mila in meno rispetto al 2014). Il risultato che ne deriva è quello di dar vita a un altro record: il saldo naturale negativo più basso dai tempi della prima guerra mondiale, con 162 mila morti in più rispetto ai nati. Un risultato, quest’ultimo, che a fronte di una minor capacità attrattiva nei riguardi delle migrazioni dall’estero e alla crescente tendenza all’emigrazione da parte degli italiani, determina il calo numerico della stessa popolazione. Il 2015 si chiude infatti con 130 mila residenti in meno: una variazione negativa che non si registrava in Italia dal lontano 1918, ossia allorché gli effetti della guerra si sommavano a quelli della letale epidemia di «spagnola».

Va anche aggiunto che la novità del calo di abitanti si configura come fenomeno tipicamente riconducibile alla popolazione con cittadinanza italiana. Mentre gli stranieri si caratterizzano ancora per una modesta crescita (+12 mila), gli italiani scendono di 142 mila unità, nonostante abbiano beneficiato dell’apporto di un numero impressionante di nuovi connazionali per effetto delle acquisizioni di cittadinanza (ben 178 mila casi). La realtà è che la componente italiana non solo ha avuto nel 2015 più morti che nascite per circa 230 mila unità, ma ha anche registrato più uscite che entrate a seguito di movimento migratorio con l’estero (-72 mila unità).

Ma i segnali che arrivano da questo sconfortante panorama della demografia italiana del 2015 non vanno certamente visti come un semplice aggiornamento del quadro statistico, e quindi come un insieme di dati da leggere e quindi archiviare. Dietro a ogni morto, a ogni neonato, a ogni caso di rinvio o rinuncia ad avere un figlio, così come dietro a ciascun soggetto che è immigrato o emigrato, c’è una storia. Ci sono milioni di persone che con i loro comportamenti e le loro scelte determinano l’andamento dei fenomeni che segnano i cambiamenti della nostra popolazione. La cura per la propria salute, l’avvio di una vita di coppia, la decisione di essere genitori, il desiderio di migliorare le condizioni di vita per sé e per i propri cari sono i «motori» che alimentano i risultati del bilancio demografico. E in tutto questo agisce come fattore determinante il contesto sociale, economico, normativo e ambientale in cui le persone vivono e interagiscono.

Quando, come è accaduto nel 2015, si osserva un ulteriore abbassamento della natalità rispetto all’anno precedente - che già segnava il minimo assoluto - e si prende atto come esso si sia manifestato ovunque e senza distinzione di nazionalità non si può restare indifferenti. Viene naturale interrogarci su cosa manchi oggi alle coppie italiane per dare seguito a quei percorsi di maternità/paternità che, come ci dicono le indagini su progetti e desideri, pur vorrebbero realizzare. L’amara conclusione è che i comportamenti demografici degli italiani del nostro tempo sono inevitabilmente il frutto di condizioni di vita e scelte di persone e famiglie lasciate sole e senza aspettative di fronte a difficoltà e a decisioni impegnative. E in tal senso, quella di fare un (o un altro) figlio non è che una delle più significative.

Nell’anno dei record, il compito dei dati statistici è quello di mettere in risalto i nodi problematici, e il bilancio dell’Istat lo ha fatto ancora una volta egregiamente. Sta ora a chi orienta le scelte della popolazione assumersi la responsabilità di decidere se limitarsi a prenderne atto e ad archiviarlo oppure, come sarebbe auspicabile, tenerne adeguatamente conto e agire di conseguenza.

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