La Provincia al voto
Futuro d’incertezza

Dopo quattro anni di presidenza di Matteo Rossi la Provincia volta pagina: oggi sindaci e consiglieri comunali (sono 2.929 in tutto) voteranno il suo successore. In lizza ci sono Fabio Ferla e Gianfranco Gafforelli, due sindaci, due candidati civici con alle spalle rispettivamente centrodestra e centrosinistra. Ma con confini di coalizione decisamente labili, al punto da non escludere travasi di voti in questa o quella direzione. E potrebbero fare la differenza alla conta finale.

Nell’attesa del nuovo inquilino di Via Tasso (incarico, ricordiamo, praticamente su base volontaria) c’è però un dato sufficientemente certo: chiunque vincerà tra Ferla e Gafforelli avrà il suo bel daffare. Sia dal punto di vista politico, con una contesa che potrebbe risolversi sul filo di lana e quindi con equilibri molto fragili, sia da quello del ruolo sul territorio.

E qui entriamo in un vero e proprio paradosso: nella furia quasi iconoclasta di qualche anno fa della caccia agli sprechi, l’ente Provincia è finito nel mirino più di tutti, senza un minimo di distinzione. Nel calderone sono così finite quelle di nuove istituzione (alcune imbarazzanti nelle loro dimensioni micro) alla pari di realtà capaci di abbracciare oltre un milione di abitanti. Come quella di Bergamo, appunto: e l’uso del verbo «abbracciare» non è casuale, perché riuscire a tenere insieme ed armonizzare un territorio che va da Torre Pallavicina a Mezzoldo, dall’Isola ai laghi, non è semplice amministrazione, ma cura di un territorio e delle sue peculiarità. E sono tante.

La scelta di fare delle Province un ente di secondo livello ha ottenuto come unico risultato finora l’allontamento dei cittadini. Quanti sanno che oggi si va a votare per il presidente? Probabilmente solo i poco meno di 3.000 aventi diritto e gli addetti ai lavori. Ed è triste pensarlo.

Parallelamente non sono venute meno le competenze, semmai i fondi, il che ha creato una sorta di corto circuito, un’eterna transizione verso il nulla che fa solo male al territorio. Soprattutto se presenta complessità (ma anche potenzialità) come quello bergamasco, l’8ª provincia d’Italia. In sostanza dopo Roma Capitale, le città metropolitane di Milano, Napoli, Torino, i cugini di Brescia, Palermo, Bari e prima di Catania, Salerno, Firenze e Bologna per dare il giusto ordine di grandezza.

In questo scenario Ferla e Gafforelli si giocano il dopo-Rossi: una poltrona più scomoda che prestigiosa, perché obbliga ogni giorno a fare nozze con i fichi secchi. Cercare soluzioni in un quadro istituzionale e normativo sempre più caotico e indefinito, dove un giorno si vogliono abolire le Province e quello dopo lasciarle lì ma senza sapere cosa farne davvero. Un’incertezza logorante che, al di là della buona volontà e dell’impegno di chi ha amministrato in questi anni, fa solo male.

Per questo è forse necessario rivedere il ruolo delle Province nel quadro nazionale, ma in un senso più organico. Se bisogna riformare il quadro degli enti locali (e probabilmente è necessario, anche alla luce delle crescenti spinte autonomistiche) non lo si può fare a strappi, senza cioè dare una nuova prospettiva unitaria al sistema. Tornare a far votare i cittadini senza l’intermediazione di sindaci e consiglieri potrebbe essere un primo passo, riallacciare cioè un rapporto che è d’appartenenza territoriale prima ancora che istituzionale. Nel frattempo l’auspicio è che in molti di quei 2.929 aventi diritto oggi vadano a votare, superando le perplessità sul voto ponderato, peso dei Comuni di provenienza e su coefficienti quasi alchemici. Sarebbe un primo, importante, segnale. Buona fortuna al nuovo presidente della Provincia, un po’ ne avrà bisogno.

© RIPRODUZIONE RISERVATA