Retorica pericolosa
dell’Italia disfatta

Certe cose succedono solo in Italia. L’affermazione, presuntuosa e disinformata, è tornata anche nei commenti sulle tragiche conseguenze del maltempo in Abruzzo. In quelle stesse ore in Spagna migliaia di persone sono rimaste isolate, prive d’informazioni, senza cibo e riscaldamento, in seguito a un’eccezionale nevicata, come non si vedeva da 40 anni. Non in borghi sperduti alle pendici delle montagne, ma in auto e treni bloccati fra Madrid e Alicante. Una disfatta organizzativa tale che il ministro dei Trasporti Inigo de la Serna si è dovuto presentare in televisione per chiedere pubblicamente scusa della débâcle al Paese. La notizia è stata rilanciata in Italia dall’agenzia Ansa ma non ha trovato l’attenzione del nostro circo mediatico, di quello chiodato e in perenne assetto di guerra, intento alla caccia del dolore da esibire e di colpevoli da processare in diretta.

Liquidare la notizia dalla Spagna col detto fatalista «mal comune mezzo gaudio» sarebbe un errore. È bene e saggio guardare innanzitutto in casa propria. Ritardi e omissioni a proposito della tragedia in Abruzzo sono al vaglio della magistratura. Ma un’opinione pubblica accorta dovrebbe giudicare con prudenza queste iniziative, chiedendo invece a chi ci governa di enucleare problemi e responsabilità per dare risposte efficaci e per non consegnarsi ancora una volta alla supplenza delle Procure. Sono i precedenti del resto a suggerire prudenza: proprio in questi giorni Raffaella Paita, ex assessore regionale alla Protezione civile della Liguria, è stata assolta in primo grado dall’accusa di omicidio colposo e disastro colposo per l’alluvione di Genova nel 2014. Nel novembre 2015 la Cassazione assolse invece in via definitiva sei sismologi della Commissione grandi rischi, insediata a Palazzo Chigi, chiamati a rispondere di omicidio plurimo colposo e di lesioni colpose per il terremoto che colpì l’Aquila il 6 aprile 2009

E abbiamo già dimenticato le gravi responsabilità delle polizie di Francia, Belgio e perfino dell’efficiente Germania nella prevenzione degli attentati terroristici dell’Isis e nella cattura tardiva dei responsabili? La convinzione che certe cose succedano solo in Italia, sommata alla retorica disfattista lasciataci in dote dalla perdurante crisi economica, produce una miscela dannosissima per l’umore del nostro Paese. In settimana un quotidiano nazionale si è fatto interprete di questo umore titolando la prima pagina con un perentorio «Non funziona più niente». Conosciamo le difficoltà di sintetizzare le notizie e la necessità di rendere accattivanti i titoli, ma quel giudizio nel suo essere così ultimativo suona come un invito alla resa. Per la rivoluzione infatti servirebbero almeno ideali e obiettivi circostanziati.

I gravi problemi che attanagliano l’Italia sono noti e dibattuti da anni. In campo economico, per citarne due, la perdita di produttività delle imprese e l’eclissi del modello che si reggeva sulle grandi industrie. Le responsabilità sono nazionali ma non va mai perso di vista il contesto sovrannazionale. La crisi economica ha colpito duramente persone che sono state lasciate per troppo tempo senza risposte. Solo adesso, nove anni dopo l’inizio della crisi, prende corpo quel reddito d’inclusione che negli altri 26 Paesi Ue (Grecia esclusa) allevia da tempo le fatiche quotidiane di chi ha perso il lavoro. Ma i dolori di questa epoca sono aggravati dalla retorica disfattista che ci conduce alla rassegnazione di un declino senza fondo. Un sentimento che taglia le gambe e soffoca energie, generando un pericoloso riflusso, annebbiando la vista di possibili rotte per dare risposte al diffuso disagio sociale.

C’è un’Italia che non può permettersi questa retorica, nostri connazionali che in diversi ambiti, mettendo in campo passione, idee, fatica e coraggio, cercano nel quotidiano, più o meno consapevolmente, di reggere alla crisi e di correggere la rotta. È ripartendo da questa positività che possiamo sconfiggere la rassegnazione, da persone che con la loro testimonianza segnano una strada percorribile. Non siamo di fronte a un’alternativa manichea: la mistica della disfatta o la narrazione rosea delle eccellenze. La realtà tiene dentro tutto ma problemi e soluzioni vanno enucleati con lealtà, se davvero vogliamo uscire dal guado. Ricucendo anche una frattura morale, questa sì tutta italiana, che già a inizio ’900 lo scrittore Giuseppe Prezzolini sintetizzava con efficace crudezza, quando raccontava due dimensioni del nostro Paese: «Un’Italia fatta di fatti e una di parole, una d’azione, l’altra di dormiveglia e di chiacchiere; una dell’officina e l’altra del salotto, una che crea, l’altra che assorbe, una che cammina, l’altra che ingombra». Insomma, l’Italia operosa e quella che vive di rendite, impermeabile ad ogni serio cambiamento. Alla prima vengano concessi libertà d’azione, fiducia e mezzi. Sgravandola della retorica disfattista e proteggendola dagli intrusi. Com’è scritto agli ingressi dei cantieri: «Lavori in corso».

© RIPRODUZIONE RISERVATA