La riforma Fornero
correzioni e chiacchiere

È uno dei temi principali di questo avvio di campagna elettorale. Eppure di nuovo non ha molto essendo che delle modifiche della riforma Fornero delle pensioni se ne parla dal dicembre 2011, cioè da quando entrò in vigore. Il tema è stato abilmente gettato nel tritacarne della campagna elettorale sostanzialmente per la sua popolarità: non c’è famiglia nella quale non ci si trovi a fare i conti con scaglioni, limiti di età, anni di contributi versati nella speranza di arrivare all’agognata pensione. Gli effetti della riforma Fornero furono sostanzialmente due: il primo, l’estensione del metodo contributivo pro-rata (cioè per il periodo di competenza dall’entrata in vigore) per il calcolo della pensione di fatto accelerando la cancellazione del più vantaggioso ma ben più oneroso per l’Inps metodo retributivo.

Gli effetti di tale accelerazione hanno già dato i loro risultati in questi anni ed ora sono ininfluenti. Il secondo fattore è l’innalzamento dei requisiti sia per la pensione di anzianità (quella su cui pesano gli anni di contributi versati) sia per quella di vecchiaia (obbligatoria per limite di età per tutti).

Della Fornero si è parlato molto negli ultimi mesi soprattutto perché dal 2018, con la nuova aspettativa della vita che si è allungata, sono scattati i parametri uguali per tutti (uomini e donne, settore pubblico e privato) con un limite posto a 66 anni e sette mesi, con la prospettiva di ulteriori innalzamenti negli anni a seguire.

La nuova soglia scattata dal primo gennaio ha fatto molto discutere nei mesi scorsi ed è uno dei motivi della grande attualità del tema. Sgombriamo subito un equivoco: cancellando la riforma Fornero si cancellano automaticamente anche questi innalzamenti dell’età pensionabile? No. La Fornero infatti ha accelerato gli scaglioni che erano stati stabiliti dalla riforma Maroni-Sacconi che pochi mesi prima della Fornero aveva già messo mano alla riforma Dini, imprimendo una corsa che ne aveva anticipato sostanzialmente gli effetti finanziari.

L’altra questione che resta da definire per fare un po’ di chiarezza sono i costi del superamento della Fornero. Secondo calcoli diciamo così ufficiali, che fece la Ragioneria dello Stato e che sono stati confermati in questi anni, gli effetti della Fornero spalmati sui 30 anni successivi al 2012 (periodo sul quale ha effetti finanziari) sono pari a circa 20 punti di Pil (punto che vale oggi poco meno di 17 miliardi). Gli effetti non sono tutti gli anni uguali, ma costituiscono una curva che sta raggiungendo i livelli massimi per poi progressivamente calare a fine periodo.

Gli effetti negativi della riforma sono sotto gli occhi di tutti e sono legati soprattutto a un rallentamento delle opportunità di trovare lavoro per le giovani generazioni. Già nel dibattito dei mesi scorsi si è evidenziato che correttivi della riforma Fornero sono possibili in due direzioni: la prima è una deroga ai limiti di età, se supportata da versamenti contributivi comunque superiori ai 40 anni per coloro che fanno lavori cosiddetti usuranti, una platea che si può restringere o allargare ad organetto in base soprattutto ai costi annui dell’intervento che si è disposti a sopportare. La seconda direzione è quella di permettere un anticipo di pensionamento oneroso (cioè con una penalizzazione sulla cifra che si andrà a prendere con l’assegno pensionistico) per coloro che comunque hanno raggiunto numerosi anni di versamenti contributivi.

Quello che deve essere chiaro è che quando si parla di correzione della Fornero non è che si elimina l’innalzamento dei limiti dell’età pensionabile: si dilaziona il loro raggiungimento. In secondo luogo qualsiasi correzione della riforma ha costi, via via più ingenti in base all’entità dell’intervento, che finiscono per pesare su nuove tasse. Il resto sono chiacchere.

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