L'Editoriale
Martedì 10 Aprile 2018
La santità non è
una vita perfetta
Jorge Mario Bergoglio ogni tanto si ferma, scrive e fa il punto. Per riepilogare, per ricapitolare, per sintetizzare, insomma, si potrebbe dire, per compendiare. L’Esortazione apostolica «Gaudete ed exsultate» è una parte essenziale del suo metodo. Perché Francesco dice molte cose, ripete, parla in una serie innumerevole di discorsi e di messaggi, di interviste. Si potrebbe avere l’impressione di perdersi tra le tantissime parole di Bergoglio e poi c’è il fatto che non tutti possono tenere dietro al baleno delle continue scosse del Pontificato. Così ogni tanto compendia il messaggio che è sempre lo stesso, nudo, essenziale e indica ciò che conta, ciò che ha significato sommo per la vita del cristiano e non solo: il messaggio del Vangelo. Il testo che ieri ha pubblicato non è niente altro che la sintesi della sua predicazione e non per nulla arriva pochi giorni dopo la tappa dei cinque anni di pontificato. Potrebbe essere un testo sorprendete. E invece non lo è.
Il ragionamento sulle beatitudini e sulla carità, che tra tutte le virtù è quella centrale, non è altro che essenza del Vangelo, spiegata ai Corinzi già da San Paolo. Così come l’analisi della vita spirituale del cristiano, intesa come «combattimento, vigilanza e discernimento» non è null’altro che la sintesi della vita di Cristo, il Maestro, tentato dal diavolo, e che già il Concilio nella «Lumen Gentium» descrisse come scelta cruciale a cui ispirarsi sulla strada della «vocazione universale alla santità».
Né inventa nulla quando spiega che per diventare santi non bisogna fare gli eroi o che non ci sia una via privilegiata alla santità per il fatto di essere vescovi, preti o suore. La sintesi icastica della frase sulla «classe media della santità», che riprende da uno scrittore francese a lui caro, Joseph Malégue, morto nel 1940, non è solo una citazione e non è affatto un’invenzione, perché rimanda direttamente a quei santi pazzi di cui parla ancora San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, «noi folli per Cristo», cioè quelle donne e quegli uomini dei primi secoli della Chiesa, che si scaldavano solo al fuoco della Parola di Dio.
Con l’Esortazione Bergoglio invita dunque a fare una sola operazione: non sminuire il Vangelo. Infatti se si procede in questa direzione la santità diventa normale, perché si tratta del paziente cammino dietro a Cristo e alla sua Parola. Non bisogna essere superuomini. Il Papa da cinque anni lo dice. Una volta criticò la «santità di tintoria, tutta bella e ben fatta». Se si osservano bene i gesti e le parole di questi cinque anni e poi si legge il testo di ieri è chiarissima la sintesi: la Chiesa non è fatta di puri e non vanno inseguite vite perfette e senza errori. Bergoglio lo scrive all’inizio della «Gaudete ed exsultate», quando parla delle persone che «anche in mezzo a imperfezioni e cadute, hanno continuato ad andare avanti e sono piaciute al Signore». È il destino di tutti noi. Solo in questo senso si può parlare di Chiesa militante, che non è quella che difende la cristianità a Lepanto, ma che con mitezza diffonde il Vangelo interamente senza prenderne ciò che fa più comodo al momento presente. È la santità intesa come missione quella di cui scrive Papa Francesco, ma senza diventare giudici e controllori delle vite e dei dolori o delle gioie altrui, emettendo sentenze di condanna o ritenendosi certificatori della cittadinanza cattolica. Non c’è mai un disastro per Dio, precisa Bergoglio. Si potrebbe dire che l’Esortazione è la migliore risposta ai dubbi («Dubia») che qualcuno ha sollevato, e alle derive del cristianesimo, che non sono una novità e che hanno percorso i secoli coniugandosi con la storia, tra intellettualismo astratto e ossessione per la legge, tra presunzione di poter fare da soli, senza la Grazia di Dio, e l’abbandono a nuove forme spirituali, sentimentali ed emotive. La santità di Bergoglio invece, come ha commentato ieri padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, è una «santità di lotta e discernimento», contro le ingiustizie del mondo e decisiva per la qualità della testimonianza.
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