Sicurezza, un diritto
Non un miraggio

In Italia si parla continuamente di «messa in sicurezza» del territorio. E vi sono ottime ragioni per farlo. Siamo un Paese soggetto al rischio di molte calamità: i terremoti, in primo luogo, prodotti dalla particolare situazione geologica di molte parti della penisola, collocate su diverse faglie destinate, di tanto in tanto a provocare scuotimenti profondi che distruggono e devastano. Abbiamo due dei più pericolosi vulcani del mondo, vicini entrambi a zone densamente popolate. Anch’essi fanno sentire di tanto in tanto la loro voce potente.

Forze inarrestabili, si dirà a ragione; ma vi sono elementi che potrebbero essere affrontati senza fatalismi. La maggior parte dei fenomeni naturali, anche prevedibili – come possono essere grandi mareggiate, temporali furiosi o innalzamento repentino del livello dei corsi d’acqua – produce effetti devastanti per una serie di cause ben note. Al primo posto, come noto, vi sono le politiche dissennate di disboscamenti e di costruzioni in zone a rischio: mali antichi nella realtà di molta parte del Paese, mai realmente fronteggiati con efficacia. In merito è sempre stata carente, da parte dei pubblici poteri, un’azione solerte e rigorosa di bonifica e prevenzione. Tali scoraggianti atteggiamenti coinvolgono, sia pure in misura assai differente, tutte le istituzioni (Stato, Regioni, Province, Comuni).

Un concorso di colpa generalizzato, favorito – non si può fare a meno di sottolinearlo – da una molle, quasi assente azione pubblica nei confronti di coloro che violano norme e regole di sicurezza in tutti gli ambiti che riguardano la tutela del territorio (dalle infrastrutture alla tenuta del terreno e delle acque). Naturalmente, la manutenzione è un aspetto nodale della salvaguardia del territorio. Ed anche su di essa sempre si discute, promettendo ogni volta interventi in grado di limitare al massimo i rischi per le popolazioni, i singoli cittadini e le infrastrutture. Promesse che hanno spesso il sapore delle declamazioni fatte al vento, tanto solenni quanto destinate a dileguarsi in uno spazio breve di tempo.

Naturalmente, mettere in sicurezza il territorio in Italia è opera titanica, sia per la peculiarità della nostra conformazione idrogeologica, sia per i ritardi accumulati e le gravi manchevolezze evidenti nella tutela della gran parte del Paese. Di ciò non si può non tener conto e occorre evitare di proporre ricette semplici e spesso demagogiche per affrontare questioni difficili. Vi è una obiettiva ristrettezza di risorse, esistono vincoli di bilancio: in questo contesto l’opera di risanamento sarà lunga e complessa. Ma ciò non può, non deve valere per la manutenzione ordinaria, per la semplice ragione che essa deve essere garantita come un diritto inalienabile.

La sicurezza è un diritto del cittadino. Sicurezza che non riguarda soltanto la tutela della vita e della proprietà, ma – in generale – tutto ciò che è insito nel suo essere cittadino; cioè una persona che, per il solo fatto di pagare le tasse, ha una serie di diritti previsti dalle leggi e garantiti dai principi costituzionali. A guardare oltre il triste fatto di cronaca, quanto è successo ieri l’altro sulla Statale 36 è il risultato, tragico e occasionale, di una stortura profonda nel modo di concepire la sicurezza dei cittadini. Il disastro semplicemente non doveva accadere: un anziano morto e tre bambini feriti dallo schianto dell’arcata sulla macchina in transito. Ed è già un fatto quasi miracoloso che il crollo del cavalcavia sul tratto stradale sottostante non abbia causato una strage.

Non doveva accadere per molteplici motivi. Il ponte – come ogni ponte stradale, ferroviario, fluviale – avrebbe dovuto essere oggetto di ordinaria manutenzione; ciò avrebbe creato le premesse per evitare il crollo o per far sì che la strada fosse interdetta pere tempo al transito.

In realtà, non soltanto la pratica, ma l’idea stessa dell’esigenza di una costante manutenzione è molto carente. E ciò vale per i ponti, come per i tratti ferroviari, le strade, gli argini marittimi, lacustri e fluviali. Nel nostro Paese i controlli sono molto più accurati sui «vettori» (auto, barche, aerei) che sulle infrastrutture. Guai a dimenticare di far controllare i fumi di scarico della propria auto, la sanzione vi raggiungerà senza scampo; ma poco sembra interessare ai poteri pubblici garantire che le arterie che l’auto percorrerà siano realmente sicure. Uno scenario che deve cambiare rapidamente. Di fronte al crollo del cavalcavia e alle sue conseguenze tragiche occorre che si provveda per riaffermare il diritto alla sicurezza. Le responsabilità sono certe; vanno identificate in modo preciso e vanno individuati e perseguiti i responsabili.

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