La strategia del terrore
illusione di appartenenza

Fino a qualche tempo fa ci eravamo abituati a commentare, senza più stupore, le stragi di innocenti esseri umani che, ciclicamente e per noi abbastanza inspiegabilmente, avvenivano negli Stati Uniti. Abbiamo un po’ tutti sempre pensato che la grande diffusione di armi presente in quel Paese ne fosse la causa principale: lì pare che una pistola se la possa comprare chiunque, anche uno scriteriato capace poi di usarla per la sua vendetta delirante in un supermercato.

Noi, in Europa, e soprattutto noi italiani, con leggi sulle armi molto restrittive e con una tradizionale cultura contraria alle armi stesse, ci eravamo sempre ritenuti al sicuro. Ora, in pochi mesi, è cambiato tutto. Sull’onda di minacce terroristiche inizialmente lontane e improbabili, ora anche noi europei siamo stati coinvolti in una realtà violenta e irrazionale che ci sconcerta e ci obbliga a modificare giudizi e comportamenti.

Ad ogni strage, in Francia come in Germania, le indagini ci hanno poi spiegato che i terroristi erano persone disturbate, precedentemente note per il loro grave disadattamento sociale se non addirittura per veri e propri sintomi psichiatrici: i terroristi del Bataclan erano tutti portatori di problemi di marginalità tossicomanica e antisociale, l’omicida di Nizza era un disadattato violento con frequentazioni promiscue, il terrorista del supermercato di Monaco era stato ed era in cura psichiatrica.

Non ce ne stupiamo. Tutti ci rendiamo perfettamente conto che nessuna persona sana di mente sarebbe mai capace di comportamenti del genere. Per uccidere bambini o per tagliare la gola a una vittima piangente uno deve essere pazzo o esserlo diventato.

Alla base di tutto c’è dunque un problema di funzionamento mentale che gli psichiatri indicano con il nome di funzionamento psicopatico, il funzionamento tipico delle persone affette da un grave disturbo della personalità: gli psicopatici appunto.

Si tratta di persone che non sono capaci di tollerare alcuna frustrazione, vogliono tutto e subito, come bambini in fasce, anche quando hanno già trent’anni e dunque la forza per pretenderlo. Non essendo in grado di posticipare la gratificazione del desiderio non possono progettare nulla nella loro vita perché non sono capaci di attenderne la realizzazione e di impegnarsi per il successo dell’impresa. Sanno solo distruggere. E dunque passano da un insuccesso all’altro, nella scuola come nel lavoro come nelle relazioni sociali e sentimentali, accompagnandosi spesso, senza grandi legami, a loro consimili.

Siccome non riconoscono in sé la responsabilità dei propri insuccessi, cresce costantemente in loro, insieme all’invidia, l’odio per gli altri, ai quali addebitano variamente d’essere la causa dei propri fallimenti. Le bocciature sono sempre colpa della malevolenza di qualche insegnante e gli ambienti di lavoro hanno tutti qualcosa di persecutivo e di intollerabilmente espulsivo.

Sono poi persone totalmente anaffettive, incapaci cioè di nutrire un qualche vero sentimento per chicchessia, di identificarsi nel dolore degli altri, dolore al quale risultano del tutto indifferenti. Non provano mai rimorso. Umiliati dai mille insuccessi e rosi dall’invidia e dall’odio sociale, passano la vita coltivando dentro di sé il sogno di una plateale rivincita, un’affermazione finale che per i limiti strutturali di cui si è detto non può che essere di tipo distruttivo. Bombe a tempo in attesa della situazione emotiva giusta per esplodere.

E la guerra terroristica dichiarata dal califfato è proprio quel che ci vuole. È l’occasione che si rivolge all’area del disadattamento sociale in questo caso connotato etnicamente e ideologicamente, l’area di quelli che non hanno nulla da perdere e tutto da recriminare e motivi pseudoreligiosi per illudersi di un’appartenenza. L’occasione ideale per vendicarsi finalmente di tutto. E non attraverso un’operazione complessa di modificazione socio-politica, cosa che richiederebbe intelligenza e impegno, ma attraverso un atto solo e soltanto distruttivo. Oltretutto sul palcoscenico della storia. Un martirio che restituisce, al punto finale, un senso soggettivo di grandezza a una vita altrimenti priva di significato.

In questi casi l’adesione al progetto terroristico avviene per vocazione, di colpo, nell’incontro di convergenti interessi, quelli strategici dei mandanti che coltivano precisi obiettivi politici ed economici e quelli emotivo-psicologici degli arruolati che trovano modo di far defluire, secondo un’etica finalmente sensata, tutta la ferocia della loro vendetta. Nella certezza, delirante, d’essere dalla parte giusta.

Fortunatamente i numeri stanno dalla parte delle persone accettabilmente sane. Avremo lutti, ma alla fine riusciremo ad arginare e rimettere sotto controllo anche questa ennesima occasione di follia umana.

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