L’abbraccio continui
per far vivere la montagna

Anche Giacomo e Matteo, sessant’anni in due, ieri hanno partecipato all’abbraccio della Presolana. Lo hanno fatto a modo loro, alzandosi all’alba per accudire le 25 grigio-alpine che da tre anni sono tornate a popolare la contrada Bricconi in Valzurio, alta Valle Seriana. Più a monte, sui pascoli di Remescler, Roberto e Sergio, hanno fatto più o meno la stessa cosa: mentre oltre tremila persone si univano nella grandiosa catena umana che, per un giorno, ha acceso i riflettori sulla montagna bergamasca con un’iniziativa senza precedenti, i due pastori, padre e figlio, hanno ripetuto quei gesti quotidiani indispensabili ad alimentare la loro piccola ma fondamentale economia. Inevitabile, se vivi e lavori sopra i mille metri.

Perché da sempre le terre alte, Orobie comprese, sono questo: passione, ma anche (tanto) lavoro e sacrificio. E così, cercando di sgombrare il campo dai toni retorici che in qualche misura certe iniziative si portano inevitabilmente appresso, l’auspicio è che dopo l’abbraccio, dopo la giornata che ieri ha consegnato la Presolana al Guinness dei primati, resti anche il suo aspetto più tangibile e inedito. E cioè: quel metodo di lavoro che nelle scorse settimane ha funzionato e che, forse per la prima volta ha visto, in maniera trasversale, enti, istituzioni, amministrazioni, puntare allo stesso obiettivo e portarlo a casa. Non è cosa banale. Nei decenni, infatti, alle difficoltà in cui versa il territorio alpino - dallo spopolamento alla progressiva riduzione dei servizi a un’economia ridotta ai minimi termini - si sono aggiunti i limiti legati all’incapacità di fare veramente sistema. Troppo spesso i progetti e le iniziative di rilancio si sono infrante contro logiche campanilistiche e di corto respiro. Basti citare, tanto per fare un esempio, le vicende di un turismo montano indicato da tempo come uno dei punti di forza del territorio, ma mai effettivamente decollato. E il tallone d’Achille sembra essere proprio quello della frammentazione, della mancanza di rete, oltre che uno scenario amministrativo e burocratico non sempre adeguato, quasi soffocante, per chi cerca di mettersi comunque in gioco.

«Cosa chiederei alle istituzioni che sono salite per l’abbraccio? Semplice: domanderei innanzitutto di lasciarci fare» spiegava laconico uno dei due giovani di Bricconi, dove per sistemare la contrada in chiave produttiva e turistica la coppia di giovani imprenditori ha impiegato quasi otto anni affrontando il consueto slalom tra i paletti della burocrazia. Non sono gli unici. I «nuovi montanari», così come li definiscono Giuseppe Dematteis e Alberto di Gioia, docenti del Politecnico di Torino, nel volume omonimo, non sono pochi. Gente che ha deciso di tornare sulle terre alte c’è. E se quantitativamente il fenomeno non è ancora in grado di invertire un decremento demografico che ha radici lontane, è proprio su queste esperienze, forse che bisognerebbe puntare. «Alcune aree stanno diventando attrattive e mostrano un’inversione di tendenza – spiega lo stesso Di Gioia –. A livello locale si tratta di un cambiamento importante perché anche una sola famiglia o due in un paese con 50 abitanti può fare la differenza». E allora ben venga l’abbraccio e ben vengano quegli Stati generali della montagna di cui il record attorno alla Regina delle Orobie è stato l’atto conclusivo. Non ci si fermi però all’elemento simbolico. Ma si proceda su questa strada condivisa con iniziative ugualmente partecipate, ma concrete. Infrastrutture, trasporti, banda larga, canoni idrici sono solo alcuni dei temi su cui è indispensabile rimboccarsi ulteriormente le maniche. La sensibilità - come dimostrato ieri - non manca. Un’occasione per tutti. Dalla pianura alla cima della Presolana.

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