L’acqua da razionare
e l’abitudine al superfluo

L’estate fa notizia. Ormai le prime pagine di giornali, telegiornali, siti internet sono occupati dal caldo, dalla siccità, dagli incendi. C’è sempre qualcosa di inquietante quando lo sfondo viene in primo piano. Il mondo esterno, le stagioni, il freddo e il caldo sono il «dato» di sempre. Per questo, normalmente non fanno notizia. Entrano di straforo attraverso la nostra recente passione per la meteorologia. Ma quella passione è alimentata dal desiderio segreto di dominare il mondo.

Sapere in anticipo che pioverà ci permette di non uscire di casa o di uscire attrezzati. Si ha la sensazione di vincere la pioggia. E così il fresco dell’aria condizionata quando fa caldo e il caldo del termosifone quando fa freddo.

Le notizie di questi giorni sono diverse. Non ci parlano di fenomeni limitati e dominabili, ma di fenomeni duraturi e indomabili. Soprattutto la siccità. Le immagini desolanti di fiumi enormi ridotti a rigagnoli, di invasi d’acqua semivuoti, con i rischi non lontani di razionamento dell’acqua, perfino per città come Roma, sono le notizie che ci stanno martellando tutti i giorni, da qualche settimana a questa parte.

Con un problema immediato. Siamo abituati ad avere l’acqua molto facilmente e a pagarla relativamente poco. È un bene a immediata portata di mano. Basta aprire un rubinetto. Ora potrebbe succedere che apriamo il rubinetto e l’acqua non arriva. Rinunciare a una cosa sentita come dovuta e facile da avere, diventa difficile da accettare. Abituati ad avere sempre il superfluo, siamo improvvisamente costretti a non avere il necessario. Il bambino viziato che ha sempre avuto tutto, difficilmente accetta di avere solo qualcosa.

È un grave problema che si potrebbe definire morale: a che cosa è doveroso rinunciare, in che modo saper dire di no ai desideri più immediati e, soprattutto, come trovare motivi per giustificare le rinunce. Problema morale e, insieme, educativo. Chiedere a chi ha dei figli ai quali insegnare che volere tutto e subito non solo non è possibile ma non è neppure buona cosa. In fondo, dunque, la siccità può diventare l’occasione non banale per riprendere in mano la nostra vita e le decisioni che la riguardano.

Più a monte, poi, fa capolino un ulteriore problema. Il mondo nel quale ci siamo installati come i pacifici padroni, improvvisamente ci si ritorce contro. E non solo con il temporalaccio di una serata, che pure ci fa paura, ma con una siccità che è cominciata da molte settimane e che durerà non si sa quanto. Noi tutti ci portiamo dentro il sogno tenace di una natura ideale, primaverile, né troppo fredda né troppo calda, quasi un prolungamento dolce del nostro corpo. In questa estate secca, invece, la natura è diventata ostica, pervicacemente estiva, con il suo caldo ostinato e pesante. Da grembo accogliente il mondo esterno si è tramutato in avversario con il quale è necessario misurarsi.

A quel punto, tutto si complica. Nei momenti difficili diventa difficile anche distinguere e riflettere. E così le paure per la siccità e la natura ostile rimandano ad altre paure e ad altre preoccupazioni. La società stessa non è accogliente, infatti. Anche in questi giorni il mondo politico è dominato dallo scontro. E anche oltre le Alpi e anche al di là dell’Atlantico. Nel frattempo la marea quotidiana dei migranti ci porta a casa drammi lontani. Nel pieno delle nostre ansie, la natura rimanda alla società e la società rimanda alla natura.

Rimane, ancora una volta, la possibilità di ricuperare le cose essenzialissime, le ragioni che giustificano la vita e anche la fatica di viverla. Si potrebbe dire che ci viene offerta la possibilità di essere un po’ più uomini mentre le circostanze esterne sembrano impedircelo e la natura ci è diventata nemica. «Se le nubi sono piene d’acqua, la rovesciano sopra la terra; se un albero cade verso meridione o verso settentrione, là dove cade rimane. Chi bada al vento non semina mai, e chi osserva le nuvole non miete», dice Qoelet.

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