L’appello di Prodi
guarda al dopo voto

Romano Prodi ha detto ieri, a margine di un convegno economico ai Lincei, che lui «non farà la campagna elettorale». Non ne ha bisogno, in effetti: ha già lanciato un sasso nello stagno che continuerà a produrre cerchi per un bel pezzo. Anzi, le conseguenze della sua recente esternazione con molta probabilità si vedranno soprattutto dopo il voto. Il professore, fondatore dell’Ulivo e padre nobile di un Pd che lo ha spesso contrastato e anche tradito, ha fatto il suo endorsement, come si dice, alla coalizione messa in piedi tra molti stenti da Matteo Renzi grazie alla pazienza certosina di Piero Fassino. Una corona di partitini che danno ai democratici la possibilità di celare l’isolamento in cui – nello schema tripolare – si sono venuti a trovare. Secondo Prodi questa coalizione, ancorché poco più che nominale, è comunque il simbolo della «unità del centrosinistra», ossia di un valore per lui assolutamente fondamentale che gli scissionisti alla D’Alema, Bersani e Grasso a suo giudizio avrebbero invece tradito.

«Loro non sono per l’unità, Renzi e i suoi alleati sì» è stato l’anatema scagliato da Bologna. Da dove però, non sono mancate critiche, come di consueto, anche alla gestione renziana del partito: «Sulle liste ha sbagliato». Tanto è vero che Prodi dice che non è sicuro di votare per il Pd ma semmai fa trapelare una certa propensione per gli europeisti di Emma Bonino e di Bruno Tabacci. Di sicuro nel collegio di Bologna Prodi non voterà il «caro amico» Vasco Errani, esponente degli scissionisti, e darà quasi certamente il proprio sostegno nientepopodimeno che a Pier Ferdinando Casini, un tempo socio fondatore del centrodestra italiano e oggi alleato, appunto, del centrosinistra.

Dalle parti di Liberi e Uguali non l’hanno presa bene. Bersani ha detto: «Non capisco e non condivido»; Grasso ha scaricato le colpe della scissione su Renzi e D’Alema ha sfoderato per l’occasione il sarcasmo anti-prodiano dei bei tempi andati: «Ogni tanto Romano fa un appello, non è detto che venga sempre raccolto, diciamo», ha sibilato. Questa irritata reazione è comprensibile: il fondatore non sarà dalla parte degli scissionisti quando proveranno a riprendersi un partito presumibilmente scosso dal risultato negativo di cui tutti i sondaggisti incessantemente parlano da settimane. La critica di Prodi fa insomma venir meno in partenza la legittimazione a chi vuole restituire, cancellando il renzismo, le caratteristiche di sinistra ad un partito considerato ormai di centro se non addirittura di destra.

La collocazione prodiana fa capire che nella prossima legislatura le convulsioni all’interno dell’area riformista terranno ancora largamente banco: soprattutto se si dovesse andare ad uno scenario di larghe intese, ovvero di accordo tra Renzi, Berlusconi e vari spezzoni centristi di entrambi gli schieramenti. Una prospettiva che è quanto di più esecrabile per D’Alema&Bersani che continuano a sperare, come parte della minoranza del Pd, in un qualche dialogo con i 5 Stelle. Viceversa sembra di capire che Prodi appoggerebbe un governo «di necessità» o di «responsabilità nazionale» se si costituisse sotto gli auspici di Sergio Mattarella con cui ha sempre mantenuto contatti cordialissimi.

Conclusione: se Prodi dice che non intende fare campagna elettorale, è perché in qualche modo l’ha già fatta e si è «portato avanti», al momento in cui tutti si ritroveranno col rompicapo di una nuova legislatura con nessun vero vincitore. A meno che, beninteso, un vincitore vero – quindi autosufficiente nei seggi alla Camera e al Senato – non venga fuori a dispetto dei sondaggisti. Come abbiamo scritto più volte, c’è ancora tanto tempo da qui al voto del 4 marzo.

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