L’applauso di Obama
al Renzi amerikano

Ha dovuto aspettare un po’ per essere invitato ufficialmente alla Casa Bianca ma alla fine Matteo Renzi è stato ricevuto con tutti gli onori da Barack Obama. Il cerimoniale adottato dagli americani era di prima classe: ospitalità concessa all’interno della casa Bianca, incontro di un’ora nello studio ovale, conferenza stampa congiunta – anche più lunga del previsto – e infine una colazione con delegazioni e personalità. Ma soprattutto non sono mancati i complimenti, le pacche, gli abbracci: aldilà dell’abitudine dei presidenti americani di ripetere con chiunque frasi sempre uguali del tipo: «Sono impressionato dalla tua leadership», la cordialità manifestata in pubblico dimostra una certa sintonia, o forse qualcosa di più: una simpatia, tra Obama e Renzi.

Barack e Matteo, come si sono appellati in conferenza stampa, non potrebbero essere più distanti dal punto di vista caratteriale: freddo, puntiglioso e metodico l’americano, simpaticamente arruffato l’italiano. Ma davanti ai giornalisti non si sono certo lesinati i sorrisi, e questo per Renzi, come per qualsiasi altro presidente del Consiglio italiano, è ancora molto, molto importante. A lui, che ha lasciato a Roma un partito e un parlamento spaccati sulle riforme, è stato ben utile ascoltare Obama che benediceva la «volontà riformista» dell’Italia renziana, la sua «sfida allo status quo» e anche la sua capacità «di fare da punto di riferimento in Europa», un’Europa dell’austerità a trazione tedesca che non piace né a Roma né a Washington. Tanto è vero che Renzi ha subito risposto che «sulle riforme non si torna indietro», che nella Ue «l’austerità è il passato» e che «per l’Italia e per l’Europa la strategia economica degli Stati Uniti è un modello da seguire». «Visione giusta», ha commentato comprensibilmente Obama.

L’occasione è stata utile anche per lanciare un messaggio agli investitori americani sulla stabilità del nuovo corso politico del governo di Roma, e per questo Renzi ha elencato le riforme fatte, soprattutto il mercato del lavoro, e quelle da chiudere «entro sei mesi» tra cui il fisco, la giustizia, la pubblica amministrazioni, tre comparti della nostra vita economico-istituzionale in cui gli americani che sbarcano qui da noi non sanno letteralmente come raccapezzarsi. Il giovane e «dinamico»leader italiano elogiato da Obama si è presentato come una garanzia vivente e ha promesso che durerà al potere tutto il tempo necessario per cambiare l’Italia.

Certo nell’agenda dei colloqui c’erano argomenti sui quali Italia e Usa non hanno posizioni del tutto collimanti come le sanzioni alla Russia (che ci provocano un enorme danno economico ma che gli americani pretendono) o il controverso Ttip, il trattato di cooperazione transatlantica che tante perplessità suscita in tutta Europa. Ma in generale sulle questioni geopolitiche c’è una tradizionale identità di vedute, in particolare sulla Libia. Renzi ha promesso che questa intesa «totale» vedrà dispiegarsi i suoi effetti in tempo ragionevolmente breve – anche se è stato smentito che si sia parlato di un utilizzo dei droni nel Mediterraneo.

Un bilancio sicuramente positivo. C’è un elemento di debolezza: mentre in passato Mario Monti ed Enrico Letta, ben conosciuti nei circoli internazionali, a margine della visita alla Casa Bianca poterono incontrare a Washington e a New York il gotha degli ambienti finanziari, accademici, lobbistici, Renzi si è contentato di parlare agli studenti e ai professori della Georgetown University.

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