Lavoro in ripresa
Il nodo qualità

Il dato forse più confortante tra quelli offerti dall’Istat nell’ultima indagine trimestrale sul lavoro in Italia è quello riguardante i cosiddetti «scoraggiati». Si tratta delle persone classificate come «inattive», coloro cioè che vorrebbero lavorare ma non cercano un impiego perché ritengono di non riuscire a trovarlo. Tali «scoraggiati» sono diminuiti di 100 mila in un anno. Non tutti hanno trovato un posto, ma almeno sono tornati a cercarlo. Significa che nel mercato del lavoro è tornata la fiducia. La riduzione della disoccupazione nel nostro Paese ormai prosegue «ininterrotta da dieci trimestri», comunica l’Istituto superiore di statistica, ma i ritmi si fanno sempre «più intensi».

Tuttavia il numero assoluto resta ancora elevato, pari a un milione 651 mila, soprattutto tra le donne: le «sfiduciate» infatti sono oltre un milione. Eccolo il quadro del lavoro in Italia: una crisi alle spalle ma una ripresa ancora incerta. E soprattutto la precarietà come sfondo. L’occupazione infatti cresce. Ma solo quella a termine. Significa che gli incentivi contributivi e fiscali per chi assume a tempo indeterminato e il Jobs Act, con le sue normative tese a favorire la flessibilità, non hanno funzionato come dovevano funzionare. Dopo una prima fiammata, sono rientrate non appena sono finiti gli incentivi. Questo è un dato oggettivo. Dunque abbiamo solo assistito a un balzo in avanti per i contratti a tempo determinato, che però non permettono di affrontare il futuro con serenità e favorire la costruzione di una famiglia per tanti giovani che si ritrovano in queste condizioni.

Anche il tasso di disoccupazione resta invece stabile all’11,2%, lo stesso livello del trimestre precedente, quando si è toccato il valore più basso dalla fine del 2012. Il tasso risulta stazionario dopo due cali consecutivi. I posti di lavoro sono aumentati di 79 mila unità rispetto ai tre mesi precedenti (più 0,3%) e di 303mila sul 2016 (più 1,3 %). Il tasso di occupazione (58,1%), è il più alto dal primo trimestre del 2009. Come si vede sono tutti dati positivi che fanno ben sperare. Non è detto che questa tendenza aumenti in modo stabile ma è auspicabile un’accelerazione. Bisogna però riflettere sulla qualità del lavoro in Italia. Il posto fisso è sempre più una chimera. Si è infatti verificato un nuovo record storico per i dipendenti a tempo determinato, che con gli aumenti hanno raggiunto quota due milioni e 784 mila, mentre quelli a tempo indeterminato, come abbiamo detto, restano sostanzialmente stazionari. Si tratta del livello più alto dall’inizio della serie rilevata dall’Istat, vale a dire dal 1992.

A cosa si debba questa ripresa dei posti di lavoro è piuttosto chiaro: l’accelerazione della dinamica dell’attività economica, particolarmente significativa per l’industria in senso stretto e per le costruzioni, «è associata a un assorbimento del lavoro da parte del sistema produttivo – si legge nella nota diffusa dall’Istat – che continua la fase di espansione mostrando una crescita superiore a quella del Prodotto interno lordo». Anche il Capo dello Stato Sergio Mattarella, ieri parlando ai giovani di Erasmus ha confermato che la crisi è alle spalle.

Vi è poi una buona notizia in nome della parità di genere e della ripresa del Sud Italia. L’Istat fa notare come la crescita dell’occupazione riguardi «entrambi i generi e tutte le ripartizioni ed è più intensa per le donne e nel Mezzogiorno». Inoltre, si evidenzia nel report su terzo trimestre, «torna a crescere l’occupazione per i giovani dai 15-34 anni e il relativo tasso di occupazione, sia in termini tendenziali sia congiunturali». Siamo ancora molto lontani da una ripresa strutturale, percepita e continua. Non illudiamoci che il 2018 i problemi della disoccupazione giovanile e del precariato saranno risolti. Ma si tratta pur sempre di buone notizie che infondono fiducia. E la fiducia, come è noto, è il propellente dell’economia.

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