Le donne più istruite
e il modello dei tecnici

In Italia, secondo i dati resi noti ieri dall’Istat, nel 2017 il 60,9% della popolazione tra i 25 e i 64 anni aveva almeno un titolo di studio secondario superiore; valore distante da quello medio europeo (77,5%), ma per fortuna in deciso aumento: negli ultimi dieci anni la quota di popolazione con almeno un diploma è cresciuta in Italia più della media europea, cioè di circa 8 punti. Anche sulle lauree l’Italia subisce un gap forse proporzionalmente più pesante rispetto al resto d’Europa: 18,7% di laureati su quella stessa fascia di età in Italia contro il 31,4% nella media Ue; oltretutto la crescita dei laureati non è così accentuata come quella dei diplomati. Che la formazione abbia un’incidenza importante anche sulla possibilità di trovare lavoro lo dimostra un altro dato: i «neet», cioè i giovani che non studiano e non lavorano, vera piaga sociale soprattutto nell’Italia del Sud, sono in diminuzione tra quei ragazzi che hanno un titolo di studio superiore e una laurea. Tra chi ha abbandonato precocemente gli studi, oltre un terzo si trova disoccupato oltre che naturalmente fuori da ogni percorso formativo.

Questi i dati in sintesi, che ancora una volta evidenziano uno scollamento tra sistema formativo e sistema produttivo; uno scollamento che neanche l’uscita dalla crisi è riuscito in qualche modo a fermare. Un contesto che sembra quindi da società bloccata. Ma a volte i numeri nella loro crudezza e implacabilità fanno passare in secondo piano alcuni dinamismi in atto che potrebbero segnare nel prossimo futuro un’interessante inversione di tendenza.

Il primo ad esempio è quello del livello di istruzione delle donne, che risulta in crescita nettamente più accelerata rispetto a quello degli uomini. Le donne con titolo secondario sono molte più degli uomini (63 contro 58,8%); una forbice che si allarga ancora di più sul titolo «terziario» (la laurea): qui il rapporto è del 21,5 contro il 15,5%. Questo protagonismo femminile è un dinamismo sociale di grande interesse, attorno al quale si deve riflettere: significa che le donne sono più pronte a rispondere ai nuovi bisogni, in particolare sul fronte dei lavori di cura: le studentesse della facoltà di Medicina e Chirurgia sono più numerose dei maschi. Il risultato è che al di sotto dei 35 anni il 65% dei dottori è donna, un record rispetto agli altri Paesi europei. Di questo passo nel 2024 ci sarà il sorpasso complessivo. Come si spiega un fenomeno di questo tipo? Con il fatto che la preparazione non è solo un fattore tecnico, ma prevede sempre di più una comprensione più profonda delle dinamiche umane. Cioè chiede capacità di empatia rispetto al soggetto della cura.

Un secondo dinamismo a cui prestare attenzione è il fenomeno degli Istituti tecnici superiori, la prima esperienza italiana di offerta formativa terziaria professionalizzante. Lanciati nel 2010 per formare tecnici superiori in aree strategiche per lo sviluppo economico e la competitività in Italia, sono scuole di alta tecnologia strettamente legate al sistema produttivo. In Italia ad oggi sono 98 in sei aree tecnologiche considerate strategiche. Sono fondazioni, vengono progettate in partnership con le aziende (ad oggi sono 827 le aziende coinvolte) e rappresentano un vero passepartout per il lavoro: l’82,5% degli allievi nell’arco di un anno ha trovato infatti occupazione. Per ora si tratta di un segmento formativo minoritario che coinvolge 11 mila studenti, anche se in grande crescita. Ma indica una strada e si pone come modello: una scuola che non semplicemente risponde alle domande del mondo delle imprese, ma stimola il mondo delle imprese a puntare sempre di più sull’innovazione, investendo sulla formazione di un capitale umano fondamentale per crescere e per vincere le sfide del futuro.

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