Le regole da rivedere
per i colossi del digitale

D’accordo, sono sempre i francesi a fare queste cose. I francesi che chiamano il computer ancora oggi «ordinateur» e non computer, gelosi della loro lingua, del loro linguaggio e della loro economia. Ma la notizia è un segno dei tempi. La giustizia transalpina infatti ha aperto un’inchiesta contro il gigante degli smartphone e dei computer per «truffa» e «obsolescenza programmata». Il colosso Usa infatti ha recentemente riconosciuto di rallentare volontariamente i vecchi modelli di iPhone attraverso i programmi di aggiornamento dei software. Lo scopo è evidente: spingere all’acquisto di un nuovo modello.

L’indagine, aperta il 5 gennaio scorso dalla magistratura di Parigi, fa seguito a una denuncia presentata la settimana scorsa dall’associazione «Halte à l’obsolescence programmée» che si propone di contrastare questo fenomeno industriale molto diffuso. L’inchiesta è stata affidata agli esperti della direzione generale per la concorrenza, il consumo e la repressione delle frodi. Parigi è molto avanti in questo genere di contrasto. La legge francese, nota come «Legge Hammon» stabilisce che qualunque azienda o multinazionale accorci deliberatamente la durata dei propri prodotti possa essere punita con un’ammenda che arriva fino al 5% delle proprie vendite annuali. Mentre i dirigenti rischiano fino a due anni di carcere.

Lo scopo dell’obsolescenza, se questa venisse accertata, non è certo nuovo e non è certo originale. Già negli anni ’60 i frullatori andavano fuori uso dopo un certo periodo, i televisori diventavano macchine mangiasoldi per le riparazioni, le lavatrici davano gli ultimi quasi tutte nello stesso periodo. È un modo per rinnovare la produzione, che altrimenti potrebbe andare in stallo, spingendo per nuovi prodotti, favorendo la domanda. Ma colpisce che l’azienda simbolo del nuovo millennio, l’azienda di Steve Jobs affamata di futuro, usi le stesse identiche maniere di una ditta di elettrodomestici degli anni ‘60. Il colosso di Cupertino ha ricevuto anche critiche circa la dipendenza provocata da un uso massiccio dei suoi smartphone da parte dei bambini, reclamando una maggiore responsabilità sociale da parte dell’azienda. Alcuni azionisti hanno scritto che un eccessivo uso degli smartphone può avere influssi anche sulla salute mentale di giovani. L’azienda ha replicando affermando che «Apple ha sempre protetto i bambini, lavorando sodo creando prodotti potenti che ispirino, intrattengano ed educhino i bambini e aiutino i genitori a proteggerli on line».

Ma al di là del caso Apple forse è venuto il momento di ripensare all’economia globale anche nelle sue magnifiche sorti e progressive. L’abbiamo celebrata, osannata, esaltata. Ma ora ci accorgiamo che ha dei limiti non molti diversi dai prodotti del Novecento. Le esigenze del profitto si scontrano con le esigenze morali dei fruitori. Per non parlare dei diritti del lavoro, sempre più messo a dura prova. Le esigenze di una sempre maggiore efficienza produttiva e di un sempre maggiore guadagno dettate dalla globalizzazione hanno portato anche a una progressiva riduzione dei tempi e dei giorni di riposo, come ha ribadito recentemente Papa Francesco nel discorso ai diplomatici accreditati presso la Santa Sede. Forse è venuto il momento di riconsiderare con maggiore spirito critico i giganti della produzione e ritornare a un sistema di regole morali economiche e finanziarie in grado di redistribuire l’enorme ricchezza accumulata in questi anni ruggenti dell’epoca della digitalizzazione. E soprattutto difendere i fruitori dei nuovi prodotti dalla corsa sfrenata a un progresso digitale che può comprometterne addirittura la salute mentale.

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