L’Europa, le sfide
per il rilancio

Sabato si celebrano i 60 anni dei Trattati di Roma che hanno istituito le Comunità europee e mercoledì prossimo inizia la procedura per l’uscita dell’Inghilterra dall’Ue. Nel ’57, dopo la nascita della Comunità economica del carbone e dell’acciaio nel ’51, la piccola Europa sognava in grande grazie anche alla forte iniziativa italiana, oggi la grande Europa a 27 pensa in piccolo. È un momento difficile, ma si spera superabile: il vertice europeo, che non sarà certo risolutivo, può comunque indicare la giusta direzione per ripartire.

In fondo l’esperienza europea, che è pur sempre una vicenda di successo, ha detto che l’impossibile può rivelarsi possibile. Accusare le istituzioni europee in modo indiscriminato e a buon mercato è un ottimo affare elettoralistico, anche se il voto in Olanda, aspettando quello in Francia e in Germania, ne ha rivelato i limiti. Tuttavia, almeno in questo anniversario, occorre riprendere il senso storico di questo progetto che, in quanto tale, non è mai compiuto definitivamente: 60 anni di pace e benessere, oltre che di civiltà giuridica e di inclusione sociale, non sono passati invano e hanno collocato il Vecchio continente dalla parte giusta della storia.

Come dice Pandolfi nell’intervista a «L’Eco» pubblicata oggi, l’Europa è diventata una regola di vita e, aggiungiamo noi, il sentimento di una lunga storia vissuta insieme ha ormai acquisito cittadinanza. Il mondo di ieri, quello della Guerra fredda, aveva solide certezze ed era chiaro nelle sue divisioni. Lo stesso incedere traumatico degli eventi storici era governato dall’Europa: il Muro di Berlino è stato abbattuto anche in forza di un modello di società affermato dalle culture storiche del secondo ’900 (democristiani, socialisti e liberali). L’universo di oggi, fluido e global, non si lascia prendere e quando si pensa di conoscerlo, eccolo sfuggire di mano. Molto, se non tutto, è cambiato e bisogna capire cosa l’Europa vuole essere: come idea e come logica. La costruzione comunitaria, che nonostante tutto mantiene una forza attrattiva, non ha precedenti e uguali e, a ben vedere, è nata invertendo i fattori: prima l’economia, poi la politica. Il continente che ha inventato lo Stato moderno e coltivato le sue degenerazioni totalitarie è l’unica area al mondo dove lo Stato nazione dimostri di aver perso molti dei suoi attributi tradizionali. In una fase di ripiegamento nell’illusione dei muri materiali e legali, l’Europa vive 4 crisi distinte e violente, che si sono accumulate in un tempo breve: crisi economica e dei migranti, Brexit e terrorismo. Tutti choc che hanno in comune il fatto di aver colto questa Europa priva di strumenti adeguati sia da parte delle istituzioni comunitarie (con l’eccezione della Bce di Draghi) sia da parte degli Stati membri: manca quella che Enrico Letta nel suo ultimo libro («Contro venti e maree») chiama la «cassetta degli attrezzi».

Siamo così entrati nella terza fase del cammino istituzionale e il vertice di Roma potrebbe precisarne i contenuti: dopo l’Europa degli anni ’50 dei padri fondatori e dopo gli anni d’oro a cavallo del secolo fra mercato unico, euro e riunificazione continentale. Proprio l’euro nelle tasche degli europei e l’allargamento a Est si sono però rivelati, accanto ad opportunità e aspettative, uno snodo critico e tutto è cambiato da quei due tornanti: a partire dagli umori collettivi fattisi introversi, complice la crisi gestita tardivamente e con i dogmi dell’austerità. La crisi dei debiti sovrani ha allontanato Nord e Sud, quella umanitaria dei flussi migratori l’Est e l’Ovest. E soprattutto balza un dato negativo ricorrente: un’architettura incompleta che non consente un efficace governo, una Ue non propriamente confederale e neppure del tutto federale le cui decisioni sono la somma di scelte nazionali, perdendo nel frattempo quella flessibilità e quella capacità di adattamento, fin qui la forza di Bruxelles.

L’euro senza un sovrano e l’Europarlamento tuttora privo di autonomia legislativa spiegano una parte dei problemi. I deficit si possono, poi, evidenziare meglio con una osservazione non proprio a margine: la tentazione elitaria che una certa idea di Europa possa piacere solo al mondo che piace. Al progetto europeo, che merita energie e passione civile, serve una dimensione popolare che non è data in natura: la sfida culturale potrebbe essere questa.

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