L’industria orobica
prenota il futuro

L’Italia, per la prima volta dopo anni, sta costruendo una politica industriale e Bergamo ha tutti i numeri per essere della partita da protagonista. Un cambio di passo. Questo è quel che ha detto l’assemblea di Confindustria nella triangolazione fra il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, il leader nazionale degli imprenditori, Vincenzo Boccia, e il presidente di Bergamo, Ercole Galizzi.

Gli strumenti sono due. Il primo è Industria 4.0 che rientra nella prossima legge di Bilancio ed è la risposta per sostenere la spina dorsale del Paese in giro per il mondo: innovazione tecnologica, ricerca e sviluppo, un progetto di 10 miliardi di incentivi già nel 2017 per mobilitare investimenti privati di oltre 11 miliardi. Calenda, la cui sintonia con l’universo imprenditoriale è nota, è stato chiaro: l’epoca più dura dell’incertezza richiede una governance più forte. La seconda leva, illustrata dal presidente Boccia, riguarda le relazioni industriali: lo scambio lavoro-produttività con il taglio della fiscalità sui premi di produzione, oggetto dei contratti di secondo livello aziendale. In questo modo verrebbe alimentata una politica della domanda, quindi recupero della capacità di spesa dei lavoratori, attraverso una politica dell’offerta, cioè di maggiore competitività.

Il momento è cruciale, perché la contraddizione fra la gestione espansiva della politica monetaria della Bce e le politiche economiche restrittive dell’Ue continua a impedire una ricaduta incoraggiante. L’austerità, aspettando le prossime elezioni a Berlino e a Parigi, non è destinata a mollare la presa e nel frattempo la Francia dei «campioni nazionali», e con il suo piano di reindustrializzazione, intende sfidare il primato italiano, quella della seconda manifattura europea.

In questo incalzare entra in gioco Bergamo, in quanto la dimensione continentale dell’industria italiana è data dalla forza delle nostre aziende e di quelle bresciane: saremmo i primi a pagare il conto di un ipotetico sorpasso. Il Sistema Bergamo, nella strategia della quarta rivoluzione industriale messa in campo dal governo, gioca un ruolo decisivo tanto più che, rispetto al mondo esterno, rappresenta una virtuosa anomalia: il presidente Galizzi – ribadendo quel che ha detto in un’intervista a «L’Eco» – ha parlato di «positiva discontinuità» con gli anni scorsi, di un’industria bergamasca tornata a produrre al di sopra del massimo storico del 2008. I numeri indicano un’isola felice in un mare tempestoso, il rovescio di una difficile normalità altrove diffusa, ma sappiamo anche che nella competizione global isole felici o nicchie protette non possono esistere. Quel che succede nel cortile di casa e attorno a noi ci colpisce nel bene e nel male direttamente, proprio in quanto il galoppo del nostro manifatturiero è trainato dall’export. Tutto si tiene.

Non è un caso che questa fase internazionale turbolenta (guerra in Siria, terrorismo, elezioni in America, migrazioni, Brexit, politiche europee inadeguate, rapporti avvelenati fra Stati) abbia occupato un posto centrale nell’appuntamento di ieri: la situazione realistica descritta senza sconti dal direttore dell’Ispi, Paolo Magri, è segnata dall’incertezza delle prospettive ma anche dal senso delle proporzioni. Quel che fa la differenza fra ieri e oggi in un mondo raramente pacificato è che le crisi attuali sono tante e tutte insieme, esigono risposte nazionali e sovranazionali, mentre la globalizzazione seleziona chirurgicamente vincitori e vinti.

Ecco quindi l’urgenza sollecitata da tutti i protagonisti: giocare all’attacco se non si vuole gestire solo la decrescita, puntare sulle riforme e dunque il «sì» al referendum costituzionale, fare squadra, far rotta sugli investimenti e sulla formazione come dotazione essenziale. Tutte pratiche che nel territorio bergamasco hanno un certo riscontro e lo stesso rapporto con la politica si muove oggi nell’orizzonte della reciproca comprensione: lo hanno confermato il sindaco Giorgio Gori, il presidente della Provincia Matteo Rossi, l’assessore regionale Alessandro Sorte e Galizzi ha parlato di «istituzioni assolutamente credibili». Il che, al di là del bon ton, non gli ha però impedito di essere molto severo sullo scalo merci, la cui mancata rilocalizzazione è un «clamoroso fallimento per tutti», lanciando un appello a risolvere la questione. Il ritrovato passo di carica dell’industria bergamasca si deve così misurare con i chiaroscuri di un quadro in movimento, di deficit sociali non ancora rientrati, di una congiuntura internazionale sfavorevole in marcia verso l’ignoto. «Lavori in corso», dunque, affacciati su un 2017 che per il ministro sarà comunque «molto duro» e che l’orgoglio degli industriali, nel realismo di Boccia, affronterà sapendo che «se il destino è contro di noi, peggio per lui».

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