L’Italia manda ko
la Merkel sui migranti

Giornata no per il governo tedesco. Al vertice dei ministri degli Interni dell’Unione Europea di nuovo fumata nera: un accordo sulla distribuzione dei rifugiati non è stato raggiunto. Angela Merkel resta con il cerino acceso. Se l’accordo con la Turchia per le quote di accoglienza dei migranti non viene rispettato, il conto è tutto a spese del cancelliere. In patria non le perdonano la difficoltà a gestire gli arrivi incontrollati.

Sul fronte euro le dichiarazioni di Mario Draghi ribadiscono l’indipendenza della Banca centrale europea e affermano in modo perentorio che la stabilità dei prezzi riguarda tutta l’Europa e non solo la Germania. La politica della signora Merkel è sconfessata perché ha ritenuto che ciò che fa bene al suo Paese deve per forza andar bene anche all’Europa. Lo dimostra la reazione stizzita alle parole di Draghi. Rivendica il diritto di criticare i bassi interessi che penalizzano i risparmiatori tedeschi. Ma è sola e questa debolezza politica si riverbera nell’incapacità di fare sintesi in Europa e in casa propria dove gli alleati di governo socialdemocratici già affilano le armi.

Angela Merkel vive un consistente calo di consensi nel suo Paese e quindi perde autorevolezza sui tavoli internazionali. Una debolezza che permette al governo italiano di avere un ruolo nella gestione della crisi dei migranti. La proposta italiana di investire nei Paesi di origine è la sola soluzione sensata per dare una prospettiva strategica agli spostamenti in massa di intere popolazioni in Africa e in Asia. È un percorso di lungo termine che guarda ai poveri del mondo.

Con la globalizzazione e l’accesso ai mezzi di comunicazione veloci giungono a chi soffre le immagini del benessere del Nord del pianeta. È inevitabile gridare all’ingiustizia e pronunciare il fatidico: anch’io. Quindi occorre agire sul posto e trasferire una parte della ricchezza accumulata dai Paesi ricchi a quelli che sono devastati dal cambiamento climatico e dalle carestie. Chi ha da vivere a casa sua non emigra. Come sostenere l’intero progetto articolato su più anni, è la grande sfida. Per acquisire le risorse, i singoli Stati devono attingere a finanziamenti aggiuntivi oppure rinunciare a spese già messe in bilancio e modificarne la destinazione. Se si vuole fare riferimento al bilancio comunitario bisogna per esempio che i francesi rinuncino alle abbondanti sovvenzioni agricole, di cui tra l’altro beneficiano anche i contadini tedeschi.

Per i governi di quei due Paesi spiegare che ora le risorse sono dirottate in Medio Oriente o in Africa è come annunciare un suicidio politico. Il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha infatti proposto una tassa sulla benzina che in Germania potrebbe essere gestibile ma in altri Paesi come l’Italia risulterebbe l’ennesimo balzello a carico del contribuente. È quindi ora che i governanti europei dicano la verità ai loro elettorati e siano in grado di coniugare la necessità politica, qual è l’investimento nei Paesi del cosiddetto Terzo mondo, con le esigenze dei cittadini. I quali non è detto che non capiscano un’azione a lungo termine di questo genere, se spiegata a chiare lettere e non in politichese. Una sorta di piano Marshall che mobiliti la coscienza civile e faccia orgogliosi i membri delle società evolute di appartenere ad una comunità.

I populisti, i movimenti xenofobi giocano sulla perdita d’identità dei cittadini e la rivendicano come compensazione all’insicurezza che le migrazioni incontrollate generano nell’opinione pubblica. C’è bisogno di risposte. Vivere lo spirito del tempo e saperlo comunicare è la grande sfida della politica.

© RIPRODUZIONE RISERVATA