Livorno e Pozzuoli,
martiri dell’affetto

I giorni appena passati sono stati scossi da due tragedie familiari. La prima durante l’inondazione di Livorno, la seconda a Pozzuoli. A Livorno sono morti Simone Ramacciotti e Glenda Garzelli, 37 e 35 anni, Filippo, il loro figlioletto di 4 anni, e il padre di Simone, Roberto. Roberto e Simone si sono immersi più volte nel fango che aveva invaso l’appartamento, nel tentativo di trarre in salvo i due bambini. Sono riusciti a salvare la bimba di 3 anni. Niente da fare per Filippo, il bambino di 4 anni.

Alla fine anche Roberto e Simone sono annegati, stremati dalla fatica. A Pozzuoli, Lorenzo, 11 anni, si è spinto oltre le transenne che delimitavano una solfatara. Il papà Massimiliano Carrer, di 45, e la mamma Tiziana Zaramella, di 42, hanno perso la vita nel tentativo di salvarlo. Le tre vittime sono state soffocate dai gas velenosi. La tragedia è avvenuta davanti al figlio più piccolo di 7 anni.

Due drammi familiari, dunque. Anzi: drammi causati dagli affetti familiari. Per salvare dei bambini, genitori e nonno si sono sacrificati. Forse non hanno valutato il pericolo, forse lo hanno valutato, ma si sono buttati lo stesso. Per cui non è fuori posto parlare di una qualche forma di martirio laico. Laico perché non sono direttamente in gioco valori in qualche modo religiosi. Ma martirio perché in nome di affetti forti si è messa in gioco la vita stessa.

Viene in mente una considerazione banalmente moralista. Delle famiglie si parla spesso. Abbondano, in quelle notizie, femminicidi e omicidi. Tutte le inchieste dicono che il maggior numero di violenze avvengono dentro la cerchia familiare. Di questo si parla, abitualmente. Bisogna parlarne, anzi. Un organo di informazione che non ne parlasse verrebbe meno a una precisa etica professionale che obbliga a informare (poi, visto che siamo in atmosfera di moralismo, lasciamo perdere se, in nome di quell’etica, per diversi giorni le prime pagine di giornali e telegiornali sono state invase dalle notizie dello stupro di Rimini. Piccolo particolare: quello di Rimini era opera di extracomunitari e viene il sospetto che questo particolare non sia indifferente).

Ora, l’alluvione di Livorno e la tragedia di Pozzuoli hanno esaltato, tragicamente, proprio gli affetti familiari. In due famiglie straordinarie gli affetti familiari erano così forti da portare alla perdita della vita pur di non perdere quegli affetti. Tutto questo fa pensare, fa molto pensare, attorno a una strana verità, di cui si parla sempre ma che meraviglia tutte le volte che si ripresenta. È strano, infatti: le cattive notizie fanno notizia, quelle buone no. I fatti di Livorno e di Pozzuoli, semmai, fanno venir fuori un altro dettaglio: le belle notizie, per fare notizia, devono virare verso il brutto e il tragico. Se ci scappa il morto, allora se ne parla. Altrimenti nessuno sa che ci sono.

Ma questo suggerisce una ulteriore, paradossale considerazione. Siccome le famiglie sostanzialmente normali, che abitualmente si vogliono bene, non fanno notizia, bisogna pensare che sono molte, molto più numerose di quello che si pensa. È ragionevole affermare che di nonni che vogliono bene ai loro nipoti e di genitori disposti a fare l’impossibile per i loro figli ce ne sono in giro tanti. Siamo autorizzati a pensarlo. Non disponiamo di dati macro sicuri, ma solo di dati micro: tutti infatti conosciamo nonni e genitori così. Ma mettendo insieme quello che sappiamo da informazioni dirette e quello che supponiamo da informazioni indirette è possibile un inconsueto – perfino in questa circostanza – ottimismo.

Stiamo attraversando tragedie di ogni genere, infatti, dagli uragani, alle guerre dichiarate e forse da dichiarare, al terrorismo… Eppure, proprio questa notte così nera, così cupa lascia intravedere degli strani barlumi che si accendono, inaspettatamente, qua e là.

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