Lo Stato padrone
Il prezzo da pagare

La vicenda Autostrade ha fatto emergere una tentazione che era ben nascosta tra le righe del «contratto» gialloverde: la voglia di più Stato e meno mercato. Non è ancora un disegno organico (per avere una filosofia occorrono filosofi, e non se ne vedono) ma quando si va al potere, è difficile resistere alla tentazione di governare direttamente l’economia. Vuoi mettere il senso di onnipotenza nel tagliare tutte le teste delle Ferrovie con un semplice post su Facebook? Toninelli ne è stato talmente inebriato, che ha già annunciato il controllo dello Stato in Alitalia: sovranismo con le ali. Non si conosce l’opinione dei commissari che la stanno meritoriamente gestendo, ma l’idea sembrava sepolta dai 7,4 miliardi già pagati dai contribuenti. Allacciamoci le cinture…Conoscevamo i sogni poetici a 5Stelle su economia leggera, decrescita, trasporto delle merci via ologramma, trasformazione di Ilva in Disneyland, o delle autostrade in ciclabili, ma ora il messaggio sembra cambiato: fatti più in là, classe dirigente dell’industria e dell’economia (tutta «poteri forti» da abbattere), perché i «cittadini» (eredi della «gente» evocata dalla vecchia sinistra), o meglio noi «contrattisti», vogliamo mettere le mani sul volante.

E attenzione. Queste tentazioni non sono limitate al solo perimetro dell’economia. Alla Camera è depositata una proposta del presidente pentastellato della Commissione cultura, Luigi Gallo, che all’art.1 prevede «l’immediata abolizione dei contributi pubblici statali alle scuole private paritarie primarie e secondarie». Il socio leghista per ora la pensa all’opposto, ma il sintomo è preciso. Speriamo di non arrivare a «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato», che fu detto tanti anni fa, indovinate un po’ da chi…

Stato e mercato possono essere pure astrazioni se affidate alle contrapposte ideologie di uno Stato tutta purezza e di un mercato tutto virtù. Sono estremi contraddetti da una realtà ben più complessa, perché accanto ad un capitalismo talora incapace o di rapina (la prima e la seconda privatizzazione di Telecom) abbiamo quello che esporta o esce dalla crisi con straordinarie multinazionali tascabili, così come il pubblico dei debiti miliardari dell’Atac o della ferrovia dai tornelli che fanno passare folle di portoghesi, è anche quello delle partecipazioni statali di Enrico Mattei o dell’Autostrada del Sole costruita in pochi anni, o dell’Alta Velocità ferroviaria, la più grande modernizzazione attuale.

È un azzardo propagandistico e aumento sicuro del debito sognare nazionalizzazioni senza avere i soldi per farle (o pensano all’esproprio?) e neppure le competenze tecniche per gestirle (non sono mai caduti ponti Anas?). Far tornare a mamma Stato 35 mila concessioni ai privati (perdendo tasse e canoni pur talvolta irrisori) può piacere al popolo dei tweet, ma fa scappare investitori stranieri. Le grandi opere hanno bisogno di capitali che lo Stato non ha, ma i fondi di mezzo mondo, che i soldi li hanno, non rischiano il risparmio dei pensionati canadesi in un Paese che comincia a parlare di Gronda solo dopo che un Ponte è crollato. Quanto ai pensionati italiani, occhio a non esagerare con Cassa depositi e prestiti, che è già tre volte la vecchia Iri. Stato e mercato non sono dei miti, lo abbiamo detto. Ciascuno dovrebbe fare il suo mestiere: allo Stato la capacità di regolare e vigilare (ma sul serio), al mercato quella di far funzionare le cose in concorrenza vera. Ricetta semplice che ha solo un correttivo, previsto in Costituzione: essere finalizzata all’interesse generale.

Le privatizzazioni italiane (120 miliardi che abbassarono il debito al tempo di Prodi) non sono state una meraviglia, perché solo raramente accompagnate dalle indispensabili liberalizzazioni (le lenzuolate di Bersani) e non si fa l’interesse generale solo sostituendo monopoli pubblici a monopoli privati. Ma far marcia indietro dopo 25 anni non ha senso, è pura improvvisazione. È probabile che dopo infiniti proclami e tanti soldi agli avvocati, non se ne farà nulla, ma un prezzo, quello della confusione, lo stiamo comunque già pagando.

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