L’ombra nera
sull’Europa

Non gli è bastato il muro, efficientissimo e tagliente, filo spinato e rasoi d’acciaio conficcati a terra. Ieri ha deciso che vuole anche i lager, container di metallo circondati di filo spinato. La legge approvata dal Parlamento di Budapest è precisa. Prevede materiali e regole per rinchiudere in campi di concentramento tutti i migranti, compresi i bambini non accompagnati, che si avventurano a chiedere asilo politico all’Ungheria, primo barlume di Europa sulla rotta dei Balcani.

La legge ungherese è accurata come lo erano i disciplinari del Reich nella messa a punto dell’industria della morte ad Auschwitz e nei campi nazisti. Il sistema concentrazionario ai danni dei migranti orchestrato dal governo di Viktor Orban e adottata dal Parlamento con 138 voti a favore, appena sei voti contrari e 22 astensioni, conferma che la destra nazionalista che governa l’Ungheria, si ispira alla purezza identitaria e al triste concetto del «Lebensraum», il mito nazista dello «spazio vitale».

Non si tratta più di slogan di matrice euroscettica. C’è di più, molto di più e molto di più inquietante. A sessant’anni dalle celebrazioni per i Trattati di Roma, il sogno di Schumann, Adenauer e De Gasperi di aver finalmente dato un anima all’Europa viene compromesso da un’ombra lunga e nera che da Budapest si allarga sul tutta l’Unione. Quanti davvero considerano dannosa la legge ungherese? È la risposta a questa domanda la misura del fondamento e del rilancio del progetto europeo. I valori dell’identità europea si intrecciano intorno al principio del rifiuto di relazioni basate sulla forza dei singoli Stati. Ma esso non si alimenta solo di valori proclamati e scritti nelle Costituzioni, ma di politiche conseguenti. Dunque non basta che nella Costituzione ungherese si rivendichi la «virtù unificatrice della cristianità», se poi le politiche della sua attuazione non ne regolano le conseguenze.

L’orgogliosa rivendicazione di sovranità con la quale il presidente ungherese ha sfidato l’Europa è l’annuncio di una battaglia contro i suoi valori fondativi. La legge del Parlamento ungherese sulla detenzione di tutti i migranti assomiglia da vicino alle leggi razziali italiane e tedesche, perché nasce sulla base dell’odio per l’altro, allora gli ebrei ora i migranti musulmani, coloro cui non si offre lavoro, non si affitta un alloggio ancorché temporaneo, ma lo si detiene in container circondati da filo spinato. L’Ungheria ci aveva già provato, ma la misura era stata sospesa dopo le proteste della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle Nazioni Uniti. Orban ha anche perso un referendum sullo stop totale ai migranti l’anno scorso. Ma non ha ceduto e ha riproposto la misura, forte di uno scenario europeo sempre più cupo sul quale s’affacciano movimenti muscolosi che aumentano i consensi con la leva della crisi economica, del terrorismo e dell’immigrazione.

Le elezioni previste in molti Paesi europei quest’anno sono un cimento per molti nazioni dove la posta in gioco è anche quella di finire nel retrobottega della storia. Con la retorica è sempre assai pericoloso giocare. Orban non se ne avvede. Eppure non sembrano molti coloro che sono disposti a suonargli la sveglia, più preoccupati a ricompattare nazioni e presunti valori identitari che a preoccuparsi della frammentazione di un progetto e di un’anima comune. Niente sconvolge Orban che tira dritto. Ma nulla scalfisce anche un’Europa che è al crocevia e non ne se rende conto, procede a tentoni, senza una strategia, nemmeno accorgendosi di quante e complesse su ogni fronte, economico e culturale, siano le crisi.

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