Malasanità e scandali
Le Regioni affondano

«Dio è morto, Marx è morto e anch’io non mi sento molto bene». Questa celebre battuta di Woody Allen suonerebbe bene in bocca alle Regioni italiane che, dopo aver «lucrato» consenso popolare dal tracollo di legittimità politica dello Stato centrale, ai tempi del verbo federalista, si trovano ora investite da una medesima, diffusa, sfiducia.

E, verrebbe da dire, non a torto, visto che gli scandali di malapolitica, variamente assortita, che hanno investito le Regioni si sono moltiplicati negli ultimi tempi, travolgendo anche le amministrazioni regionali, sedicenti virtuose, del Nord: Piemonte, Liguria e, in due tempi, la Lombardia… L’«eccellente» Lombardia ha dunque perso il suo appeal, già con la lunga stagione formigoniana e ora con l’inchiesta che ha scosso dalle fondamenta la sanità, simbolo stesso del celebrato modello lombardo.

Lasciamo alla magistratura di chiarire i contenuti giudiziari delle indagini. A noi interessa ora la questione politica e costituzionale. E la questione politica-costituzionale è che le Regioni sono istituzioni che soffrono di una crisi profonda di identità politica e legittimazione popolare. Per soddisfare una domanda, non sempre finemente articolata e argomentata, di riduzione dei costi della politica, il governo Monti, e poi quello Renzi ,stanno faticosamente conducendo un processo di razionalizzazione, de-costituzionalizzazione e forse soppressione delle Province. Pur non disponendo di competenze demoscopiche e di riscontri aggiornati a riguardo, sospetto che l’opinione pubblica non nutra una fiducia molto maggiore nelle Regioni.

Da un’indagine Censis del 2015, traggo i seguenti dati: «In 15 anni, dal 1995 al 2010, le Regioni hanno perso il 17% di votanti, passando dall’81 al 64%, è il tonfo più clamoroso della politica italiana degli ultimi 20 anni (…) La fiducia nelle istituzioni Regionali è calata di 13 punti percentuali negli ultimi 5 anni». Fine di un’illusione federale? Se così fosse, sarebbe comunque un problema serio, perché, proprio in questa fase così critica, il Parlamento, «spronato» dal governo Renzi, ha deciso di investire su di un Senato rappresentativo delle Regioni per ridare peso ed efficienza al Parlamento. E lo ha fatto senza preoccuparsi di avviare le Regioni a una seria riforma. Anzi, senza neppure toccare la condizione di specialità di alcune Regioni, il cui differenziale di autonomia, rispetto alle Regioni a Statuto ordinario, tenderà, con la revisione costituzionale in approvazione, addirittura a crescere, senza che ve ne sia alcuna seria giustificazione.

Questa situazione contraddittoria, di un Senato delle Regioni (ancorché il meccanismo di questa rappresentatività sia molto debole) in presenza di una marcata crisi dell’istituzione regionale, getta, da un lato, una luce di provvisorietà sulla soluzione data al bicameralismo dalla riforma Renzi-Boschi e, dall’altro, pone il problema di come rivitalizzare politicamente le Regioni.

Lavorando in quest’ultima prospettiva, un ostacolo è costituito da un sistema partitico centripeto, che inibisce la crescita di classi politiche regionali autonome; nonché da un sistema dell’informazione che tende a concentrare l’attenzione mediatica sulla dimensione nazionale, con il paradosso che è più facile conoscere dibattiti e processi decisionali in corso a livello statale che quelli regionali.

Io credo che il difficile radicamento democratico delle Regioni possa compiersi solo se queste tessono una tela di alleanze con gli enti territoriali, con i Comuni in primis. Anziché contendere una legittimazione popolare diretta e disintermediata a Stato e Comuni, in una specie di gioco a somma zero, le Regioni potrebbero cominciare a pensarsi come livello istituzionale in grado di esprimere e mediare politicamente la richiesta di autonomia che sale dalle comunità territoriali di base.

In questa direzione, che è qui solo abbozzata, importante potrebbe essere la rappresentanza degli enti locali presso le Regioni; nonché il ridisegno, che la revisione costituzionale affida alla legge regionale, degli «enti di area vasta», possibile, naturale, raccordo tra Comuni e Regione, al posto delle (forse) moriture Province.

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