Manovra amara
L’Europa ci bacchetta

Dopo la danza dei decimali delle ultime settimane l’oracolo di Bruxelles ha emesso la sua sentenza: il governo italiano deve trovare 3,4 miliardi di euro entro aprile, pari allo 0,2 per cento del Pil, per evitare una ben più costosa procedura di infrazione per debito eccessivo. Inutile cercare una consolazione nelle parole di miele dei tecnocrati dell’Unione europea: il presidente Juncker ad esempio nega una linea di austerità («L’Italia ha potuto spendere 19 miliardi in più senza che sia stata sanzionata») e parla di «tenerezza istituzionale». La realtà rimane amara: la cifra rappresenta lo scarto tra il saldo di bilancio previsto dal governo nel 2017 e il margine ritenuto necessario dalla Commissione per ridurre progressivamente il debito pubblico in base al Patto di stabilità.

Del resto, come ci aveva spiegato il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, l’Italia è il Paese dell’Unione che cresce meno, sotto l’uno per cento (la media è dell’1,6). Il nostro Paese è il «malato d’Europa», affetto da debito pubblico in risalita (133 per cento del Pil), bassa crescita, alta disoccupazione e sistema bancario in difficoltà. Il deficit strutturale passerà dall’1,6 per cento del 2016 al 2 per cento del 2017, secondo le stime macroeconomiche del nostro Paese.

Ora non resta che provvedere. Da dove prenderà 3,4 miliardi il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan per correggere i conti? Il governo sta facendo di tutto per abbassare i toni e cercare di far ingoiare la pillola ai contribuenti nel modo meno invasivo possibile, ma intanto tra le indiscrezioni ritornano le care vecchie intramontabili misure della Prima Repubblica: le accise sulla benzina, l’aumento delle tasse su tabacchi e alcolici, l’aumento delle imposte di bollo o di registro e forse il taglio dei bonus fiscali in base al reddito, ovvero il solito ceto medio, abbondantemente falcidiato nell’ultimo trentennio.

Vi è poi la promessa di tagli alla spesa corrente dei ministeri e del recupero dell’evasione, come ha dichiarato il viceministro dell’Economia Luigi Casero, ma si tratta appunto di promesse. Si pensa anche di intervenire sull’inversione contabile dell’Iva nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione. Misura da cui è possibile ottenere un miliardo di euro, sempre che Bruxelles accetti, perché si tratta di un artificio contabile. La notizia che forse verrà impiegato anche un «tesoretto» di 700 milioni proveniente dalla spending review attuata dalla Consip attraverso la centralizzazione degli acquisti per i ministeri, non fa che lasciare l’amaro in bocca ai cittadini, che forse l’avrebbero visto meglio impiegato in qualcosa di buono e godibile per la comunità, anziché per colmare i buchi del bilancio pubblico. Si parla anche dell’ipotesi di congelare i vincitori dei concorsi pubblici. Anche se è tutta da confermare è abbastanza impressionante che si «congeli» l’assunzione di chi ha già passato una selezione, per esempio nella scuola, per fermare l’aumento della benzina.

L’Unione europea nel dipingere la situazione economica italiana fa espressamente riferimento alle attuali convulsioni politiche e alle riforme che ancora non arrivano. Si dice che il premier Gentiloni sia preoccupato perché Renzi gli ha chiesto di non aumentare le accise della benzina. Si tratta di un provvedimento impopolare per far quadrare i conti, gli ha ricordato il suo ex presidente del Consiglio. Chissà se lo stesso Gentiloni gli ha risposto che forse non era il caso di spendere nella Legge di Stabilità tutti quei soldi in «bonus» da 80 euro e quattordicesime per tutti i pensionati (pari a circa 3 miliardi di euro), anche per quelli che godevano di redditi familiari molto alti, per guadagnare consenso al referendum del 4 dicembre scorso. A quest’ora non ci sarebbe stata alcuna manovra correttiva. O, quanto meno, la manovra avrebbe fatto un po’ meno male.

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