Missione a Mosca
L’obiettivo è la pace

Ben sa che il cammino è duro e accidentato e che il momento non è affatto tranquillo e dunque molti potrebbero sconsigliarlo a partire. Eppure è proprio per la presenza di rissosi contendenti sulla scena mondiale, per le troppe parole che dividono, per le memorie del passato sempre meno condivise, che il Segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, va domenica a Mosca. Ma non basta per inquadrare il viaggio accennare al dialogo costruttivo con la Russia, saldamente nelle mani di Vladimir Putin. Né è sufficiente ricordare la tenacia con la quale il Vaticano ha cercato e tenuto stretto un rapporto, ai suoi tempi, con l’Unione Sovietica.

All’epoca del pontificato di Papa Francesco diventa un processo che va oltre le regole della diplomazia e le questioni bilaterali che qualcuno si affretta a rubricare nell’agenda di Parolin, evocando per esempio la faccenda dell’Ucraina, hanno un perimetro più largo. Così anche la situazione in Siria.

La missione di Parolin insomma va al di là delle identità geografiche e perfino di quelle geopolitiche e serve per indicare al mondo intero e ai suoi leader litigiosi un metodo. La diplomazia della Santa Sede è sicuramente più libera di non cedere a contrapposizioni ideologiche o a compromessi. Così la preoccupazione maggiore della Santa Sede e di Papa Francesco, quando insistentemente parla della necessità di bloccare la guerra mondiale a pezzi, è esattamente quella di prevenire e dunque di spegnere le micce prima che gli incendi divampino. I colloqui del Papa con i leader mondiali, le missioni del Segretario di Stato, gli interventi degli episcopati nei Paesi dove i pericoli sono più che reali, dalla Repubblica Centrafricana al Venezuela agli Stati Uniti alla Russia, servono a spiegare che le soluzioni non passano attraverso una chiusura a doppia mandata sull’interesse nazionale, ma nel suo contrario esatto, cioè nell’apertura degli Stati e nella critica ragionata ad una opinione pubblica che invece è dominata da estremismi inquietanti, da identitarismi disperati e dall’odio per il vicino in casa e per quello oltre i propri confini. Il rischio che corre il mondo è di dividersi in tante fortezze e di giustificare l’impresa con la necessità di difendersi dal neoestremismo degli altri.

I ragionamenti spaventosi che si ascoltano in giro sui flussi migratorie con tutto il corollario di luoghi comuni, paure e fake news, lo dimostrano con rara efficacia. Tutti cercano il modo per chiudere più efficacemente le porte piuttosto che pensare ad aprire corridoi umanitari per far passare gente che la nostra globalizzazione selvaggia ha ridotto a profughi, non importa se delle guerre o della fame. In giro c’è troppa rabbia, troppo odio, troppa desiderio di vendetta. Ma i disegni geopolitici che vediamo tratteggiare qui e là da Washington a Mosca, da Pechino a New Delhi, da Pyongyang a Caracas indicano solo prospettive di contrapposizione, di antagonismi e di egoismi.

Parolin dunque va a Mosca proprio perché il momento è difficile. Non sappiamo se è l’inizio di una nuova strategia del processo aperto sulla scena internazionale da Papa Francesco. Parolin ha spiegato che il suo viaggio sarà importante per la pace, tema sul quale sono molti gli interlocutori. La Santa Sede non ne teme nessuno, anzi desidera parlare con le autorità di qualsiasi Paese, a prescindere dai sistemi politici e dalle ideologie, per spiegare che il bene globale nasce se si supera la logica degli interessi nazionali e personali e i vantaggi immediati in un’area o in un’altra del pianeta. Parolin comincia da Mosca. Seguiranno altre capitali?

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