Modello Bergamo
Nuova prospettiva

L’uomo è anzitutto relazione. Ce lo ricordano di continuo filosofi, sociologi, antropologi e pedagogisti. Qualcuno tuttavia penserà magari che si tratti soltanto di un «mantra» che, a forza di sentirlo ripetere, si è per così dire logorato. Io credo invece che oggi più che mai occorra partire proprio da qui, dall’idea che gli uomini non sono mai veramente individui se sono soli, se non stabiliscono cioè relazioni. Sono convinto che è su queste basi che dobbiamo portare avanti il lavoro di «Bergamo 2030», dove sono coinvolti Camera di Commercio, Comune, Provincia, Università, Imprese & Territorio, Confindustria, Ubi Banca e i Sindacati.

Un progetto indubbiamente ambizioso, che si propone di elaborare per i prossimi anni – per un futuro che è praticamente dietro l’angolo – le linee guida per lo sviluppo della nostra città e del nostro territorio. Abbiamo un’occasione straordinaria per pensare scenari praticabili e per realizzare un nuovo «Modello Bergamo» che, pur essendo appena agli inizi, è già tale, visto che anche nella vicina Brescia stanno facendo qualcosa di analogo. Un’occasione straordinaria che ha bisogno però di una filosofia condivisa da tutti gli attori in campo.

Cerco di spiegarmi meglio, e per farlo voglio partire da una celebre definizione di Aristotele, che nella Politica afferma che l’uomo è un «animale per natura politico». Secondo Aristotele, l’uomo è dunque per natura – ossia per essenza – l’animale che vive nella polis, nella comunità civile. Insomma, in quanto essere che vive in relazione con gli altri, ogni uomo, ogni persona trae il senso delle proprie azioni dall’appartenenza a una comunità. E senso nella nostra lingua, così come in molte lingue europee, significa non solo significato, ma anche direzione. Certo, l’appartenenza a un territorio non è di per sé un elemento assoluto dell’identità socio-culturale di una comunità. È innegabile tuttavia che uno spazio fisico assume i caratteri riconoscibili di un territorio soltanto quando è investito da una rete di relazioni sociali, umane e culturali in grado di stabilire un autentico rapporto affettivo con esso, condividendone appunto la direzione. Questa partecipazione emotiva deve rappresentare una forza che agisce all’interno di una comunità, e deve essere fatta propria, interiorizzata, dagli individui che la costituiscono. Soltanto nel percepirsi come comunità i suoi membri possono percepirsi come reciprocamente «importanti» e capaci di portare un contributo significativo.

Se «Bergamo 2030» vorrà essere un laboratorio di idee utili e concrete per individuare strategie adeguate agli obiettivi che intende raggiungere, è questa idea di comunità che si deve avere in mente. Che poi altro non è che quella rete istituzionale condivisa che, secondo il rapporto Ocse, è proprio ciò che finora è mancato. Così come è mancata, sempre secondo quel rapporto, la capacità di mettere al primo posto la formazione culturale e professionale, con il risultato che le innovazioni sono state ben al di sotto delle nostre oggettive possibilità.

Lavorare tutti insieme per creare una rete virtuosa tra pubblico, privato e università, e per fare della formazione un motore trainante della crescita della società bergamasca, sono senz’altro due obiettivi alla nostra portata. Ovviamente, qui non voglio proporre ricette pronte per l’uso, ma indicare soltanto un metodo o, se preferite, un modo di vedere le cose che può aiutare a creare un nuovo «Modello Bergamo». E vedere le cose significa porsi nella giusta prospettiva, evitando l’equivoco che si verifica in uno di quegli splendidi dialoghi immaginati da Italo Calvino ne «Le città invisibili», dove Marco Polo descrive a Kublai Kan un ponte, pietra per pietra, e l’imperatore vuol sapere qual è la pietra che sostiene il ponte. Marco Polo spiega che a reggere il ponte non è questa o quella pietra, ma «la linea dell’arco che esse formano». E quando Kublai Kan, un po’ spazientito, non vuole più sentir parlare di pietre, perché a interessarlo è soltanto l’arco, Marco Polo risponde: «Senza pietre non c’è arco».

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